Siamo già andati oltre, per certi versi, all’era della digital transformation. Sia chiaro, ci sono parecchie aziende tuttora nel pieno del processo evolutivo e altre che addirittura lo stanno iniziando ora. Ma l’onda montante dell’intelligenza artificiale sta di nuovo mutando lo scenario di riferimento e portando i percorsi di evoluzione strategica verso quella che potremmo definire la “generative transformation”.
Lo spunto è stato insinuato nella mente dei CIO da Carlo Alberto Carnevale Maffé, Associate Professor of Practice di Strategy and Entrepreneurship presso SDA Bocconi School of Management, in chiusura del Summit che TIG – The Innovation Group ha organizzato dal 14 al 16 marzo scorsi a Baveno. In un mondo che agisce sempre più in tempo reale e dove, di conseguenza, non ha più senso dettare regole cristallizzate, i CIO hanno l’opportunità di distogliere l’attenzione dalla codifica dei processi per provare a gestire organizzazioni giocoforza sempre più liquide, sfruttando una visibilità a 360° che non ha pari in altre funzioni aziendali.
Tanto dagli interventi degli esperti che hanno introdotto e concluso i lavori del Summit quanto dalle discussioni che hanno animato i vari tavoli di lavoro dell’evento, è emerso un tratto comune, a volte strisciante e, in altri casi, esplicitato in modo chiaro: per il CIO non è più il tempo di occuparsi di tecnologia fine a sé stessa e nemmeno dei dati in quanto tali, bensì di concentrarsi sul linguaggio e sulla comunicazione.
Acquisire peso e generare valore in azienda, oggi, significa padroneggiare uno scenario che l’intelligenza artificiale generativa sta rimodellando in direzione del rapporto fra base di conoscenza e capacità di fornire rapide risposte. Organizzare correttamente il patrimonio informativo delle aziende, costruire i modelli dai quali far discendere gli input richiesti dal business e dare evidenza della propria centralità sono le sfide che attendono l’IT nell’era della generative transformation. I CIO sono pronti a raccoglierle? Da Baveno qualche indicazione positiva è arrivata, in mezzo alle classiche preoccupazioni sui budget raramente adeguati, il dialogo faticoso con le Line of Business, le richieste destrutturate da gestire e le difficoltà ad attrarre e trattenere i talenti. La strada dell’evoluzione appare segnata e deve portare a quello che, presto o tardi, dovrà chiamarsi “Chief Language Officer”.
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