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Il cambiamento strutturale di Autostrade fa perno sul cloud

 

Questo mese abbiamo fatto colazione con: Francesco Fiaschi, CTO di Autostrade per l’Italia

Si tende a identificare nel cloud uno dei principali fattori di trasformazione delle aziende in chiave digitale. Non è sempre così, in realtà, poiché la semplice migrazione in logica “lift & shift” di applicazioni o carichi di lavoro precedentemente ospitati nei data center interni cambia le modalità di fruizione, ma non agisce sui processi. Laddove alle spalle ci sia una strategia, con obiettivi ben definiti e modalità di esecuzione esplicitate, si può legittimamente parlare di digital transformation a tutti gli effetti.

Autostrade per l’Italia ha intrapreso recentemente un percorso di cambiamento profondo, con conseguente turnover di proprietà e management. In questo contesto, ha preso forma il piano Next to Digital, che si concentra su nove aree prioritarie, spaziando dalla gestione degli asset all’ottimizzazione del controllo di viabilità e traffico, dall’evoluzione delle modalità di esazione dei pedaggi all’innovazione dell’esperienza del viaggiatore. Solo nei prossimi tre anni, sono previsti investimenti di oltre 130 milioni di euro. La revisione dell’infrastruttura tecnologica è uno degli aspetti-cardine di questo processo di trasformazione. Ne abbiamo parlato con Francesco Fiaschi, CTO della società.

Su quali basi avete costruito il vostro cloud journey e come sta procedendo la modernizzazione infrastrutturale?

Siamo partiti dalla riorganizzazione e dalla digitalizzazione dei processi interni, sia di tipo core che non core. Questo progetto primario è stato accompagnato da diverse altre iniziative di trasformazione, tra le quali rientra anche il programma di ammodernamento, che va a incidere sulle architetture e le applicazioni It che non sono toccate direttamente dalla trasformazione digitale. Oggi ancora possediamo due data center interni, ma il piano prevede che nei prossimi tre anni la nostra componente architetturale e applicativa sarà migrata in cloud per il 60% del totale. La percentuale salirà di un altro 10% l’anno successivo. Si tratta di un obiettivo sfidante, ma riteniamo che il cloud metta a disposizione strumenti di costruzione dei processi digitali che possono agire come facilitatori. Inoltre, l’ammodernamento ci serve per fare efficienza soprattutto sul fronte dei processi operativi, distogliendo investimenti dalle componenti a basso valore aggiunto dell’IT.

Come avete costruito il percorso di migrazione e quali logiche lo hanno presieduto?

Nella nostra visione, oggi c’è il dato al centro dei processi e tutto ruota attorno a questo concetto. La trasformazione delle architetture e il loro conseguente passaggio nel cloud, con orientamento ai microservizi e alle architetture a eventi, serve a valorizzare i nostri asset, i dati aziendali e i processi rivisti in ottica moderna. Avendo posto il data lake al centro della nostra evoluzione e delle attività operative, concentriamo la nostra attenzione sulle informazioni che servono per prendere decisioni. A livello infrstrutturale, il nostro obiettivo di riferimento è la business continuity, estesa anche alle soluzioni di produzione, oltre che agli ambienti di test & sviluppo. Tutto questo testimonia come il cloud sia per noi un perno centrale della trasformazione e la scelta primaria per tutte le evoluzioni architetturali.

Privato, pubblico, ibrido: quale cloud model si adatta alla vostra realtà?

Nel processo di decisione iniziale, la componente che ha maggiormente catalizzato la nostra attenzione riguarda la sicurezza. Abbiamo fatto le opportune comparazioni fra i modelli proposti dal mercato e ne abbiamo concluso che non siano particolari elementi di differenziazione, poiché l’affidabilità deriva dall’utilizzo di pattern di costruzione delle architetture che siano intrinsecamente sicure e non lascino buchi o spazi pericolosi. Per questo abbiamo adottato la logica dell’infrastructure-as-a-code, che già integra modelli sicuri e in questo modo possono guadagnare in velocità dall’utilizzo del cloud pubblico.

Al di là degli aspetti tecnologici, dove ritenete di dover lavorare per migliorare il livello di protezione dei vostri workload e dati, pensando al mindset aziendale nel suo complesso, alla sensibilizzazione delle persone o a una visione che ancora deve consolidarsi a livello It?

Il mindset aziendale è strettamente collegato alla centralità del dato e all’importanza che si pone su questo aspetto. Le persone rappresentano sempre un potenziale veicolo di utilizzo non corretto degli strumenti aziendali, per cui poniamo attenzione a una forte cultura della sicurezza, all’accesso ai dati, all’utilizzo delle best practice. Cultura, conoscenza, attenzione all’implementazione delle architetture, test, alta affidabilità e ridondanza sono tutti elementi del mosaico di protezione di dati e workload.

 

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