N. Aprile 2021
a cura di Valentina Bernocco
Giornalista, Technopolis e IctBusiness
L’iniziativa conta oltre 200 membri e punta a lanciare soluzioni certificate di data sharing entro la fine dell’anno. Avrà una doppia anima: infrastrutture (per lo più) statunitensi e regole europee.
Il cloud computing è un fenomeno mondiale, ma per quanto riguarda il giro d’affari su questo territorio svettano due bandiere: quella statunitense e quella cinese. Tra i grandi fornitori di servizi infrastrutturali, infatti, spiccano Amazon (con la divisione Aws), Microsoft (Azure), Google, Alibaba, Tencent, Baidu, per menzionare solo i principali. Se si analizza il mercato dal punto di vista dell’hardware (server, sistemi di networking, processori e altri componenti destinati ai data center) il risultato è ancora un duopolio, a cui potremmo aggiungere i nomi di Intel, Dell, Oracle, Ibm, Lenovo, Huawei. E l’Europa? Possiamo accontentarci di essere un grande mercato di destinazione, schiacciato fra le tecnologie di altri continenti? La questione non riguarda solo la geografia del giro d’affari, ma soprattutto la geografia dei dati. Per rispondere a queste domande lo scorso anno è nata Gaia-X, iniziativa e omonima fondazione, con il dichiarato obiettivo di “creare un ambiente in cui i dati possano essere condivisi e conservati sotto il controllo dei loro responsabili e utenti”. A fine dicembre, secondo i piani, saranno presentate le prime soluzioni cloud certificate Gaia-X.
Infrastruttura e dati, le due anime di Gaia-X
Per usare uno slogan, Gaia-X vorrebbe creare un “cloud europeo”, fatto di infrastrutture e tecnologie ma ancor prima fatto di dati. Come spiegato durante una recente conferenza stampa da Hubert Tardieu, chairman del board di Gaia-X e veterano dell’industria Ict francese, “Alla base c’è un progetto di infrastruttura e di IT, ma questo non è affatto l’unico obiettivo: vogliamo anche creare un data space”, composto da partner che possono condividere i loro dati per riuscire a migliorare e aumentare la loro penetrazione nel mercato”. Il tutto dovrà rispettare la privacy e i principi del Gdpr: “Assolutamente non sarà condiviso alcun dato personale”, ha garantito Tardieu ai giornalisti. “L’intenzione non è di lanciare prodotti commerciali, ma di stabilire standard e policy e di promuovere la condivisione dei dati. Crediamo che le implementazioni di maggior successo saranno fatte nei mercati più regolamentati, come quello bancario. Mostreremo che con il digitale può essere fatto molto più di quello che viene fatto attualmente e che il data sharing può servire in diversi settori di mercato”.
Le sfide della sanità
La condivisione dei dati dovrà servire non solo per generare profitto, bensì anche per il progresso scientifico. “Siamo ancora nel mezzo della pandemia e in Europa la distribuzione dei vaccini è anche un problema di circolazione di dati su cui non abbiamo il controllo”, ha spiegato in conferenza stampa Jeroen Tas, chief innovation & strategy officer e membro della executive committee di Royal Philips. “Ogni ospedale, ogni clinica è una piccola isola di dati connessa con il resto del mondo”. A detta di Tas, si potrebbero fare innumerevoli esempi di quanto la condivisione delle informazioni sia essenziale in campo medico, dagli studi genomici al tracciamento dei contagi e alle statistiche sul covid. “Senza una condivisione di dati nel mondo sanitario non potremo mai vincere sfide come fermare una pandemia o sconfiggere il cancro”, ha sottolineato il manager. “Ma prima di poter realizzare tutto questo dobbiamo realizzare l’infrastruttura”.
Un cloud europeo… un po’ statunitense
Resta una domanda: può davvero esistere un cloud europeo, fatto in Europa, dall’Europa e per i cittadini europei? Va detto che, più che a un’iniziativa paneuropea, al suo esordio Gaia-X assomigliava a un duopolio franco-tedesco, guidato da aziende come Bmw, Bosch, Deutsche Telekom, Sap, Siemens, Atos, Orange, OvhCloud, per citarne alcune, e sostenuto dai i ministeri dell’Economia dei due Paesi. Nei mesi però il duopolio si è stemperato con l’ingresso di decine di altri soggetti, tra vendor di tecnologie, startup, università, associazioni di tutela dei consumatori ed enti no-profit: il conteggio oggi supera i 200 membri. La federazione ha però anche stretto accordi con i grandi colossi statunitensi, come Amazon, Google e Microsoft, che portanno proporre servizi certificati Gaia-X. Dal punto di vista infrastrutturale, infatti, l’autarchia è impensabile già oggi e ancor più lo sarà nel prossimo futuro, se i progetti di migrazione sul cloud delle aziende europee andranno avanti. “Vogliamo raddoppiare la penetrazione del cloud in Europa nei prossimi quattro o cinque anni”, ha rimarcato Tardieu. “La domanda è: quale porzione di questo mercato sarà coperta da provider europei? Spero che sarà più del 30%, anche se non posso esserne sicuro”.
L’importante, sostengono i promotori, è che i servizi forniti da soggetti non europei rispettino le linee guida che Gaia-X presenterà nei prossimi mesi. Dovranno, cioè, assicurare l’aderenza a principi di elevata sicurezza, di portabilità dei dati e di totale trasparenza sul loro utilizzo. “Come gestire una infrastruttura europea rispetto a una infrastruttura globale è un punto cruciale”, ha ammesso Jaana Sinipuro, dirigente di Sitra, il fondo finlandese per l’innovazione. “Abbiamo deciso che il board di Gaia-X sarà riservato a società che risiedono sul suolo europeo. Anche se nel progetto potranno entrare aziende di tutto il mondo, quando si tratterà di prendere le decisioni saranno quelle europee a poterlo fare. Saremo aperti anche alle aziende cinesi, ma dovranno accettare i principi e le regole europee sui dati”.
Ricevi gli articoli degli analisti di The Innovation Group e resta aggiornato sui temi del mercato digitale in Italia!