N. Gennaio 2021
a cura di
Roberto Bonino,
Giornalista di Technopolis e ICTBusiness.it,
Indigo Communication
Questo mese abbiamo fatto colazione con…
Robert Müller, Global Head of IT Platforms di Nestlé
Appare ormai sempre più raro trovare aziende che non abbiano in qualche modo sperimentato il cloud. C’è chi si è limitato a spostare solo le applicazioni meno legate al core business e più standardizzate e chi addirittura è partito, naturalmente in anni abbastanza recenti, utilizzando dall’inizio questo paradigma di visione infrastrutturale. Più tipicamente, ci troviamo di fronte a uno scenario ibrido, fatto di processi ancora gestiti su sistemi legacy interni al data center e altri già migrati in cloud.
Le ragioni e le leve che hanno fin qui ispirato le strategie delle aziende possono essere diverse. Tra le più comuni, si possono indicare la volontà di trasferire voci di costo dal conto capitale alle spese operative, la flessibilità nell’utilizzo di risorse di calcolo e la spinta derivante dalle scelte effettuate dai propri vendor applicativi di riferimento. Più interessante è notare come molte realtà si affidino al cloud come terreno di sperimentazione e pianificazione dei progetti più innovativi, lasciando intendere che l’evoluzione strategica non possa prescindere dalle caratteristiche peculiari di un’IT utilizzata come servizio.
Le aziende più attente ai mutamenti di scenario sono partite per tempo con progetti di migrazione magari graduali, ma convinti in direzione del cloud. Fra queste, troviamo Nestlé, che ha rivisto in anni recenti la propria organizzazione IT per meglio guidare la gestione delle attività su scala globale e i fronti di innovazione, soprattutto in chiave digitale. Ci spiega le logiche di trasformazione della multinazionale il responsabile globale delle piattaforme IT Robert Müller.
Com’è evoluta la vostra infrastruttura IT e con quali obiettivi?
Siamo una grande multinazionale e, pertanto, ci siamo strutturati con un dipartimento IT gestito a livello globale e team locali che svolgono attività più operative. Di recente, abbiamo creato alcuni digital hub e uno di questi ha sede in Italia, ad Assago, alle porte di Milano. Queste unità si occupano di supportare la trasformazione digitale di tutto il gruppo e la struttura di Assago si caratterizza per la presenza di un team estremamente composito per esperienza, genere e diversità culturale. Dal punto di vista tecnologico, la nostra evoluzione non può prescindere dalla centralità della tecnologia Sap per la gestione dei processi di business, in base a una scelta di armonizzazione e standardizzazione partita ormai vent’anni fa.
Il nostro viaggio nel cloud è partito nel 2012, dapprima con l’implementazione di alcune soluzioni SaaS in aree diverse come Human Resources e Procurement, e poi con una graduale estensione all’intero portafoglio delle applicazioni, per esempio con l’implementazione di Office 365 nel 2015.
Oggi, rimane on-premise il cuore del nostro ERP. Il nostro data center, tuttavia, è composto per la quasi totalità di macchine virtuali, ciascuna con un ruolo assegnato, un po’ come avviene nei modelli infrastructure-as-a-service.
Dall’ibrido al software-defined, si può dire che sia un percorso segnato?
Non esattamente. Certamente abbiamo delle componenti già andate in questa direzione, come la rete o lo storage. Però occorre ricordare che siamo un’azienda che si occupa di prodotti alimentari, non di tecnologia, quindi certamente continueremo a far leva sul cloud per l’innovazione dei nostri processi, ma non abbiamo l’esigenza stringente di migrare tutto in tempi troppo rapidi.
Ci sono fattori che possono aver fin qui ostacolato l’eventuale migrazione verso il cloud pubblico di processi o carichi di lavoro per voi strategici?
Oggi abbiamo fatto scelte in tutte le direzioni. In passato avevamo avuto qualche remora sull’affidabilità delle infrastrutture cloud, ma negli ultimi tre anni il mercato degli hyperscaler è diventato molto più maturo e i big player hanno fatto enormi investimenti per migliorare affidabilità e sicurezza. Certamente, occorre fare le opportune valutazioni. Se ci si muove verso il cloud pubblico senza aver reingegnerizzato le applicazioni, si può godere del beneficio iniziale di razionalizzazione delle infrastrutture (“rightsizing”) rispetto all’on-premise, ma nel giro di due anni, a fronte della naturale crescita, si rischia di trovarsi in una situazione peggiore rispetto al mondo dal quale si proviene. Le nostre scelte si basano su use case, che valutiamo caso per caso.
Quali sono i fronti di innovazione per i quali avete maggiormente fatto leva sul cloud?
Soprattutto sul fronte B2C abbiamo realizzato progetti rilevanti, per esempio nell’ambito del riciclo delle cialde sulle macchine Nespresso Dolce Gusto, combinando elementi di marketing con strumenti di analytics. Anche l’IoT, tuttavia, è un terreno sul quale siamo partiti con una logica in buona misura cloud-based e abbiamo già fatto sperimentazioni sulle macchine da caffè connesse, in modo particolare in Giappone.
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