1. Che cos’è e che cosa non è lo smart working
Il lavoro agile viene così nominato dalla legge n. 82, 22 e regolamentato dal Decreto Legislativo 17 marzo 2020. Secondo l’Osservatorio sullo Smart Working del Politecnico di Milano, il lavoro agile è una “filosofia manageriale fondata sulla restituzione alle persone di flessibilità ed autonomia nella scelta degli spazi, degli orari e degli strumenti da utilizzare, a fronte di una maggiore responsabilizzazione sui risultati”.
Per chi scrive, il telelavoro o lavoro agile o, come preferisco chiamarlo, lavoro ubiquo di qualità che dà al lavoratore la possibilità di lavorare fuori dalla sede del datore di lavoro è solo un corollario di una diversa concezione degli uffici, della loro organizzazione, del lavoro supportato da tecnologie digitali. Esso offre alle persone un’opportunità di riequilibrio fra vita e lavoro e alle organizzazioni possibilità di riduzione di costi immobiliari e miglioramenti di produttività.
2. Il futuro dello smart working
Sullo smart working le opinioni sullo scenario che si verificherà una volta terminata l’emergenza sono diverse. Su un estremo c’è chi ritiene che verrà ripristinato lo status quo (in cui il lavoro smart coinvolgeva principalmente alcune grandi imprese per uno o due giorni alla settimana), dall’altro c’è chi propone di continuare tutti a lavorare da remoto. Probabilmente ciò che avverrà sarà la costituzione di un nuovo equilibrio tra il lavoro in sede e quello da remoto, un lavoro “ubiquo” di qualità da poter svolgere ovunque. Le applicazioni del lavoro ubiquo, smart o agile sono in realtà opportunità o necessità per cambiare finalmente e profondamente le organizzazioni e il lavoro, e migliorare efficienza e qualità della vita: al management delle organizzazioni spetta di avviare e condurre i processi profondi di cambiamento necessari, con i supporti professionali appropriati; alle Istituzioni di predisporre le infrastrutture materiali, finanziarie e formative per favorire questi sviluppi. Le migliori aziende e Pubbliche Amministrazioni lo stanno già facendo.
La sfida principale sarà quella di estendere in maniera adeguata lo smart working anche alle PMI, alle organizzazioni della Pubblica Amministrazione di minori dimensioni, alle organizzazioni del terzo settore (che, si ricorda, insieme rappresentano la stragrande maggioranza degli occupati e del PIL italiano), realtà che prima del lockdown avevano una percentuale di applicazione di smart working anche solo per un giorno la settimana inferiori rispettivamente al 15% e 16%. Perché ciò accada bisognerà innanzitutto supportare chi intende intraprendere un tale percorso di cambiamento, tenendo conto soprattutto delle differenze che caratterizzano queste imprese e Pubbliche Amministrazioni.
Proponiamo due tipi di azioni: a) quelle politiche e le azioni trasversali; b) quelle “cliniche” e di sviluppo delle singole organizzazioni.
a) Azioni sulle politiche
i. Occorre integrare e promuovere ricerche multidisciplinari sull’“esperimento smart working” di questi mesi per comprendere che cosa è avvenuto veramente. L’attività dovrebbe essere il risultato dell’azione sinergica di CNR, Università, centri di ricerca, grandi imprese, sindacati.
ii. Lo smart working (o il lavoro ubiquo) richiede programmi pubblici di finanziamento a iniziative di formazione e a cantieri di cambiamento dell’organizzazione del lavoro sia all’interno delle imprese, sia nella Pubblica Amministrazione: una sorta di piano smart working 4.0.
iii. Bisogna sviluppare un nuovo assetto normativo. Ma frattanto agire.
iv. Occorre dedicare forti investimenti nelle reti telematiche (anche in base alle risorse attese dall’Unione Europea).
v. Riflettere su quali incentivi fiscali introdurre per trasformare gli uffici, gli ambienti domestici e la configurazione delle città.
vi. Supportare le realtà (sia imprenditoriali sia pubbliche) che si mostrano più lente in questo percorso. Bisogna rendere disponibili i supporti professionali per le PMI e per la Pubblica Amministrazione offerti da università, società informatiche e di consulenza, ecc., abilitando per queste realtà attività di formazione con modalità e costi sostenibili.
b) Azioni sulle singole organizzazioni
Partiamo dall’assunto che lo smart working è un cambiamento sistemico dell’organizzazione. Per questo esso deve essere progettato e gestito nel modo migliore in ogni singola organizzazione differenziata per tipologia di processi e di persone. Fare sviluppo dello smart working in un’azienda, una pubblica amministrazione, una associazione richiede di tener presenti 12 aree di attenzione e riprogettazione, non necessariamente tutte insieme.
1. Concezione dello smart working. Bisogna innanzitutto convenire su cosa sia realmente lo smart working per il management, per i lavoratori, per il sindacato: se solo lavoro da remoto, oppure una nuova filosofia manageriale oppure un nuovo modo di gestire l’impresa o altro.
2. Aspetti legali. Occorre tener conto di molti aspetti legali (si pensi, ad esempio, alla sicurezza dei dati, alla protezione della privacy dei lavoratori, alle responsabilità del datore di lavoro per eventuali incidenti e molto altro).
3. Infrastrutture. Oggi le reti di connessioni digitali sono inegualmente disponibili nelle diverse aree del Paese. Le connessioni al centro di Milano non sono uguali a quelle dei paesi dell’entroterra ligure: occorre progettare gli sviluppi considerando realisticamente la disponibilità di infrastrutture.
4. Tecnologie di supporto e cybersecurity. Senz’altro i cambiamenti in atto non potrebbero avvenire senza l’attività dei provider di tecnologia, ma non va dimenticato che oggi essi sono dominanti sul mercato e propongono strumentazioni necessarie ma non sufficienti: occorre disporre di competenze sull’impresa, l’organizzazione, il lavoro, la formazione, il bilanciamento vita lavoro e molto altro che non sempre i provider hanno.
5. Modalità di gestire equilibrio fra vita e lavoro. In questi mesi è avvenuto un esperimento di ricombinazione di lavoro svolto in casa e vita personale che ha coinvolto oltre 8 milioni di persone. Alcuni ne sono stati felici, altri hanno dichiarato gravi problemi di sovraccarico, interferenza tra vita e lavoro, stress. Sono state penalizzate le donne con bambini e chi abita in case piccole. Un nuovo modo di lavorare che concili vita e lavoro nello stesso luogo va favorito, regolato e negoziato con le singole persone se non addirittura concepito, progettato nei singoli contesti attivando percorsi di formazione dei dirigenti, dei capi intermedi e di partecipazione dei lavoratori.
6. Mindset. Lo smart working richiede una diversa mentalità e capacità di conciliazione fra lavoro e vita personale per i lavoratori e per i capi. Non è facile. Smart worker non si nasce, ma si può diventarlo. Lo smart working non può essere “improvvisato”: lavorare secondo queste modalità richiede un lungo apprendimento e formazione dei lavoratori e dei capi.
7. Proporzione fra lavoro in sede e remoto. Una volta terminata l’emergenza, occorrerà riproporzionare queste sfere, coinvolgendo inevitabilmente dimensioni economiche strutturali imponenti: utilizzo degli spazi aziendali, utilizzo di aree di coworking, valorizzazione di aree periferiche o di borghi come sedi distribuite di lavoro, riconfigurazione dei trasporti, gestione dei servizi di ristorazione e alberghieri intorno alle sedi aziendali e molto altro. Questa è materia di politiche pubbliche, ma forte è il ruolo delle imprese che ricollocano il lavoro fra la propria azienda e altri luoghi dove si ricolloca il lavoro.
8. Interior design degli uffici. Le esigenze di distanziamento fanno sorgere nuove idee di come organizzare il layout degli uffici, oltre gli uffici singoli e oltre gli open space.
9. Ridisegno degli spazi casalinghi. Molti lavoratori hanno bisogno di consulenza e di risorse per ristrutturare gli spazi casalinghi. Ma soprattutto lo smart working richiede e consente quella riconfigurazione attesa da mezzo secolo di organizzazione e lavoro.
10. Organizzazione e sistema socio-tecnico. L’“ufficio-professionale” composto da esperti e professionisti è già da tempo avvezzo a lavorare in remoto, così come l’“ufficio direzionale” in cui è possibile fornire indicazioni e orientamenti anche a distanza. La vera problematica è rappresentata dagli “uffici-fabbrica” che poco si prestano a lavorare per obiettivi e competenze e che occupano la grande maggioranza delle persone. Si verifica ora un’importante occasione per ridurre il peso degli uffici-fabbrica e muoversi verso assetti organizzativi autoregolati e professionalizzazione delle persone. Occorre sviluppare forme organizzative differenti da quelle concepite finora basate sull’idea che l’ufficio sia solo una porzione di un organigramma in cui vengono gestiti compiti e mansioni. Occorrono forme di microstrutture o sistemi socio-tecnici che siano “piccole società” che gestiscano processi e misurino risultati e siano dotati di meccanismi di continuo adattamento all’ambiente esterno. Questo richiede una riconfigurazione dei processi, delle tecnologie della cooperazione, della concezione delle microstrutture, dei sistemi di controllo di gestione e di visual management. Le tecnologie digitali sono un potente strumento per costruire team autoregolati. Senza tali cambiamenti sarà ben difficile concepire il lavoro sulla base del raggiungimento di risultati e obiettivi (in chiave smart, come si vorrebbe).
11. Lavoro e sistema professionale. Vanno modificate le attuali modalità di svolgimento del lavoro, soprattutto negli uffici-fabbrica, oggi basate su compiti, mansioni, livelli, indennità rinforzati dal diritto del lavoro e dalle relazioni industriali. Andrebbe sviluppata invece una concezione del lavoro basata su ruoli aperti caratterizzati da risultati, dal controllo sui processi, da forme di cooperazione autoregolata, dal padroneggiamento delle tecnologie, da competenze di dominio e competenze sociali. In molti casi il lavoro va fatto evolvere verso mestieri e professioni a larga banda, con un esteso potenziale di flessibilità e di adattamento al variare dei ruoli e dei contesti.
12. Relazioni industriali. Le relazioni industriali dovranno potenziare le dimensioni locali (aziendali, territoriali, settoriali) e dovranno diventare “propositive”: il sindacato o le rappresentanze dovranno partecipare attivamente ai processi di cambiamento e non affrontarli quando sono già in corso. Per agire su queste aree occorre attivare percorsi progettuali volti a modificare le strutture dell’organizzazione, del lavoro e delle relazioni. Sì ad alcune (poche) norme e (pochi) accordi cornice, ma soprattutto molti “cantieri di progettazione innovativi e partecipativi”.
Si è, dunque, davanti a un’opportunità straordinaria di ridisegnare il lavoro e l’organizzazione per il futuro. Così come la rivoluzione fordista è stata un’occasione di riprogettazione non solo dei macchinari, ma anche delle relazioni industriali, del rapporto tra vita e lavoro e dei redditi, allo stesso modo oggi si stanno verificando trasformazioni in grado di impattare notevolmente il modo sia di lavorare sia di fornire servizi ai clienti. La pandemia, oltre ai suoi effetti disastrosi, ha creato una finestra di opportunità per gli innovatori, un’occasione da cogliere: se da un lato le grandi imprese e amministrazioni hanno dimostrato di saperlo fare, dall’altro bisogna supportare le realtà che hanno riscontrato e stanno riscontrando maggiori difficoltà per far sì che tali cambiamenti diventino cultura diffusa.
3. Riprogettare gli uffici, gli stabilimenti industriali, l’organizzazione, il lavoro
Concentriamoci su organizzazione e lavoro
3.1. Riconfigurare i diversi tipi di uffici e riprogettare l’organizzazione
In un mese è stata rivoluzionata la concezione degli uffici che in decenni era stata proposta e non realizzata dagli studiosi e manager più illuminati. L’immagine tradizionale dell’ufficio è stata per lungo tempo quella di un luogo, immagine evocata dall’espressione “vado in ufficio”. Tre tipi di luoghi sono associati all’idea di ufficio, l’ufficio-fabbrica, l’ufficio direzionale, l’ufficio studio.
L’ufficio-fabbrica è stato per oltre un secolo il luogo dove lavoravano gli impiegati e i loro capi, i capiufficio appunto. Un mondo di incartamenti, di pratiche che documentavano eventi amministrativi o gestionali, di calcoli, di corrispondenza condotti da comportamenti prescritti o basati sulla fiducia. Negli stabilimenti produttivi, il mondo degli impiegati. Un mondo burocratico di travet, di opprimenti gerarchie, di procedure rigide spesso utilizzate per ottenere vantaggi personali: il mondo dell’agrimensore K del Castello di Kafka, di Bristow o di Fantozzi. Oggi gran parte di quei calcoli e di quegli incartamenti sono stati assorbiti nei computer: negli uffici e negli stabilimenti quasi tutto avviene più nell’hardware e nel software e nella testa delle persone che nelle “scartoffie”. Il numero degli impiegati esecutivi e dei capiufficio burocratici è drasticamente diminuito: le nuove tecnologie dell’ufficio (work-station, telefoni intelligenti, sistemi di archiviazioni, stampanti, reti telematiche, intelligenza artificiale etc) insieme con le esigenze di riduzione dei costi accelereranno il declino dell’ufficio-fabbrica. Ma si tratta di un dinosauro ancora forte e vivo! Esso talvolta riappare anche dove non c’è più carta e polvere così come nella fabbrica automatica sopravvive spesso l’organizzazione di Ford e Taylor anche senza catene di montaggio. L’ufficio-fabbrica rimane nell’organizzazione, nella testa delle persone, nel software, non nelle procedure e nella carta.
L’ufficio direzionale è quello dell’imprenditore, del manager e delle sue segreterie: rappresentanza, comfort, esigenze di comunicazione e di riunione caratterizzano questo “luogo”, contenitore simbolico del potere e del prestigio più che luogo di lavoro, che per il manager è più spesso la fabbrica, l’ufficio o il laboratorio con cui si incontra con le persone che lavorano per lui, l’auto, l’aereo, il ristorante, gli eventi pubblici etc. Carisma, potere, management autoritario o leadership partecipativa, orientamento all’interno o al mercato, valori di riferimento: sono la base per gli stili diversi della fisicità e delle infrastrutture tecnologiche di questi uffici: da monumentali sale del trono a control room da centro militare, ad ambienti di stile domestico per pensare e comunicare.
L’ufficio studio è il luogo dove professionisti, ricercatori, artisti svolgono i loro progetti e studi. Libri, documenti, strumenti specifici di progettazione e sviluppo, sale riunioni in un arredo che rispecchia il carattere intellettuale e creativo dell’attività. Anche questi luoghi sono stati trasformati dall’informatica: personal computer, apparecchi televisivi, registratori di ogni natura, reti e ogni sorta di apparecchiatura elettronica specifica. Ma anch’essi hanno spesso perso specificità: gli uffici di un giornale o di una stazione televisiva assomigliano a laboratori digitali, i laboratori di computer graphics con computer, poster, piante, amache e strumenti musicali assomigliano a degli atelier di un artista; molte fabbriche assomigliano a sale di controllo di un centro spaziale.
L’ufficio talvolta non è in nessun luogo, ossia esiste l’ufficio senza ufficio. Un computer portatile o uno smartphone consente a chi lo possiede di lavorare da solo o con mezzo mondo nella propria casa di città, sul prato della propria casa in campagna, in riva al fiume o su una baita in montagna, su un taxi, su un aereo. È l’area del telelavoro, dello smart working, del lavoro agile, che si è diffuso sospinto dalle tecnologie digitali negli ultimi vent’anni soprattutto sostituendosi largamente all’ufficio studio come luogo, generando postazioni mobili, coworking, lavoro a casa. Il telelavoro ha ridotto una quota importante del tempo passato nell’ufficio direzionale, ma senza intaccare per lo più la sua immagine come luogo di potere. Ha trovato invece un muro di fronte all’ufficio-fabbrica, per quanto alleggerito dall’informatica: entrare in ufficio, timbrare, rispettare un orario di lavoro, essere controllati è rimasto il prevalente modo di lavorare e di organizzare. Non sono mancati esperimenti e normative che hanno però riguardato numeri limitati di lavoratori per un tempo limitato.
E le fabbriche e il lavoro manuale?
Anche la manifattura è oggi sempre più luogo di elaborazione e valorizzazione dei dati e costituita anch’essa da questi tre tipi di “uffici”. L’ufficio fabbrica taylorista va superato è anche in stabilimento. Gran parte del lavoro diretto nelle fabbriche, nei laboratori artigiani, il lavoro nei trasporti, il lavoro nelle strutture di accoglienza e ristorazione, il lavoro sanitario e il lavoro di servizio sociale in front office, il lavoro dei servizi di manutenzione e molti altri non possono essere svolti a casa o in coworking. Ma oggi oltre il 70% dei lavori consiste nel trattamento di dati, immagini, simboli che può essere svolto anywhere: abbiamo chiamato tutto questo uffici.
Grazie alla digitalizzazione, ci sono attività che rientrano nel lavoro di produzione (avere a che fare con macchine e impianti) che possono essere svolte a distanza: ci sono casi di gestione e controllo degli impianti da remoto (non solo da sale di controllo, ma anche da luoghi diversi); ci sono anche alcune attività di manutenzione che non richiedano la sostituzione fisica di componenti; c’è il lavoro dei manutentori che partono da casa senza passare dalla sede e hanno sul tablet (collegato ai sistemi centrali) tutte le informazioni necessarie e possono interagire con i tecnici durante l’intervento. Oggi il controllo e la manutenzione software dei 50 laminatoi NTM della Tenaris nel mondo vengono fatti attraverso un tablet operabile anywhere. E gli esempi potrebbero moltiplicarsi.
La fabbrica si intellettualizza sempre di più e viene popolata da knowledge worker.
I nuovi uffici del futuro (inclusi una parte degli stabilimenti di produzione) avranno i seguenti connotati principali che emergono dalle best practice esistenti per diventare paradigmi di progettazione.
A. L’ufficio come sistema sociotecnico
Il primo connotato degli uffici/stabilimenti industriali del futuro è che essi saranno più di oggi sistemi sociotecnici, che hanno la loro identità non nei luoghi e neanche nella collocazione negli organigrammi, ma nell’essere strutture dove si combinano organizzazione, tecnologia, piccole società tese alla realizzazione di processi informativi, di valorizzazione dei dati, di ricerca, di sistemi decisionali, di manutenzione, di innovazione al fine di ottenere risultato. Non più direzioni, reparti, dipartimenti, sezioni e rappresentazione dell’organizzazione come gerarchia. Saranno strutture organizzative reali composte da persone che lavorano insieme in modo organizzato, si parlano, si vedono (fisicamente o attraverso uno schermo), si stimano, confliggono, si vogliono bene o male.
Questi sistemi operano sulla base di un modello diverso da quello taylor-fordista e burocratico: il modello 4C basato sulla condivisione di obiettivi, di valori (il lavoro, l’innovazione, l’inclusione), delle conoscenze delle forme della loro operazionalizzazione, del monitoraggio, delle scelte di allocazione delle risorse disponibili:
• Le forme della Cooperazione fra gli aderenti, in grande misura autoregolata;
• L’ampia condivisione di Conoscenze all’interno e all’esterno della regione;
• La Comunicazione estesa;
• Lo sviluppo di una Comunità coesa e performante.
In una parola, un sistema socio-tecnico che fa convergere il lavoro organizzato di molte persone e le tecnologie digitali verso i risultati: questi sistemi operano sia entro le mura di uno stesso ufficio, sia fra persone che lavorano in luoghi diversi da sole, ma insieme (working alone together). La quantità di processi che possono essere condotti in remoto dipende dalla capacità di configurare e gestire i processi e di mantenere un sistema sociale vitale, coeso e generativo.
B. L’ufficio come sistema per raggiungere fini economico-sociali plurimi
Ogni processo che si svolge in un ufficio persegue e raggiunge risultati diversi e integrati: servizio, qualità, quantità, costo, flessibilità, innovatività, ma anche qualità della vita degli utenti e qualità della vita di lavoro.
Il secondo connotato dell’ufficio/stabilimento del futuro è quello di un’organizzazione per realizzare fini multipli e spesso molto complessi che riguardano al tempo stesso strategie di costo, di competitività e di diversificazione e strategie di compatibilità fisica e sociale. Strutture, tecnologie, arredi, regole, collocazione delle persone nei luoghi, piattaforme digitali devono quindi “parlare” del fine, della strategia da perseguire, perché si operi per fini e non per prescrizioni e programmi.
Essi non possono essere strutture senza fisicità e sciogliersi e despecializzarsi.
C. L’ufficio come insieme di luoghi concentrici con al centro la persona e la sua professione.
Il terzo connotato dei nuovi uffici/stabilimenti è la coesistenza di confini concentrici: a) confini locali (che includono team, task force, unità organizzative specifiche, ossia quei sistemi socio-tecnici citati nel punto precedente e composti da persone, tecnologie, processi, risultati che avvengono sia entro luoghi fisicamente identificati o senza collocazione fisica); b) confini “cosmopoliti” (che riguardano flussi e reti senza confini, che collegano fra loro persone e sistemi socio-tecnici). Al centro di questi cerchi concentrici è la persona.
Dove la persona tiene le sue cose e le sue relazioni lavorative più importanti (imparare, insegnare, aiutarsi, esplorare, ideare, etc)? Non più nella sua scrivania o nella sua stanza, ma in un “nido” all’interno di queste reti locali e planetarie, un “centro di gravità permanente”, diceva Battiato: questo “nido” è costituito dalla sua professione, che può essere potenzialmente esercitata in ogni luogo.
Il telelavoro dissocia l’esercizio della professione dalla fisicità di una scrivania, di un locale e perfino di una burocrazia cui appartenere. Ma la professione deve essere una struttura sociale visibile e potente, fra lavoro e vita come vedremo più avanti.
D. L’ufficio virtuale o fisico come spazio per poter governare la qualità della vita di lavoro
Ogni attività di lavoro entra simultaneamente in una pluralità di universi paralleli: in un universo fisico (“batto la tastiera del mio computer e guardo il mio schermo colorato: mi fa male la schiena e mi bruciano gli occhi”), in un universo operativo (“usando Word non ho salvato, ho spento e ho dovuto riscrivere quello che avevo scritto negli ultimi 20 minuti”); in un universo procedurale (“mi preoccupo di non superare il numero di pagine assegnatemi per l’articolo”); in un universo decisionale e creativo (“mi convinco sempre più che non sono sbagliate le idee dell’ufficio senza ufficio, del telelavoro, della rete telematica come nuova connettività umana”); in un universo comunicativo (“mi raffiguro chi mi leggerà e mi chiedo se sto veramente facendo di tutto per farmi capire”). Entro ciascuno di questi “universi” si giocano le diverse dimensioni dell’integrità della vita di lavoro della persona (corpo, mente, psiche, ruolo lavorativo, ruolo sociale, sé).
Le persone non devono essere insieme in uno stesso luogo per riconoscere, difendere e progettare la qualità della loro vita di lavoro come fu nella fabbrica fordista. Le persone devono riconoscere gli “universi”. Ossia i processi in cui sono immessi, accordarsi, negoziare, progettare perché il lavoro abbia i suoi risultati proteggendo la qualità della vita di lavoro delle persone, dal momento che “the product of work is people”. Le piattaforme digitali e le loro regole sociali diventano la “nuova fabbrica” virtuale che va progettata e migliorata con processi di partecipazione.
Il quarto connotato dell’ufficio è la compresenza di diverse dimensioni del reale e del virtuale nello stesso processo di lavoro che vanno tutte controllate per proteggere la qualità della vita di lavoro: la qualità della vita di lavoro diviene così un criterio chiave di progettazione e sviluppo del lavoro, di job design e job crafting, sia nella sua dimensione fisica che in quella virtuale.
E. L’ufficio come “negozio” che eroga servizi
L’ufficio/stabilimento moderno, oltre a produrre informazioni e merci, eroga servizi all’utente finale o all’utente interno. Nei servizi la persona/cliente ottiene un servizio offerto da un’altra persona, sia pure preparato e supportato da molte altre che non entrano in contatto diretto con il cliente, oppure da un sistema digitale (il “self service”). L’erogatore umano del servizio contribuisce sempre alla definizione del servizio, alla sua qualità, al suo tempo, ai suoi aspetti di presentazione; la soddisfazione o l’insoddisfazione del cliente si manifesta nel corso della relazione, sia pur non sempre a causa della relazione. Il “cliente” dalla sua parte partecipa, con la sua condotta collaborativa o ostile, alla realizzazione di un buon livello di servizio. Il “front office” è l’area dei processi di comunicazione, di contatto, di scambio diretto fra erogatore e fruitore del servizio. Questi processi coinvolgono le dimensioni strumentali (il risolvere un bisogno, un problema), le dimensioni razionali (l’argomentare, il dimostrare, il provare), le dimensioni operative (redigere documenti, manipolare e consegnare oggetti), le dimensioni comunicative (l’intendersi, l’impegnarsi), le dimensioni affettive (il fidarsi, l’affidarsi), le dimensioni simboliche (l’identificarsi), le dimensioni libidiche (il piacersi), etc.
Il progettista di interfacce digitali di sistemi di self service progetta un erogatore virtuale del servizio che dovrebbe essere come e più user friendly con il cliente di un operatore umano: ma spesso prevale una logica ingegneristica più che di configurazione di una relazione.
Il 90% di ciò che noi conosciamo sugli uffici riguarda il “back office”. Ciò che avviene all’interno di operazioni e procedure di “back office” in realtà ha senso solo in vista della consegna finale di un servizio a un cliente che si aspetta di ricevere valore per questo servizio e che vuole essere soddisfatto.
L’ufficio/stabilimento o del futuro è allora sempre un sistema per costruire “sportelli ottimali” cioè “user friendly”, orientati ai bisogni dei clienti e alla customer satisfaction progettata perché “nell’ufficio ci sia posto – fisico e psicologico – per il cliente”.
Il quinto connotato dell’ufficio del futuro è quello di essere spesso una struttura per erogare servizi all’utente finale a all’utente interno a beneficio dell’utente finale. Naturalmente non è necessario che l’operatore lavori in uno sportello o in un ufficio fisico, ma può interagire telematicamente con il cliente e/o con le altre persone che confezionano il servizio in front office e in back office.
In sintesi, gli uffici/stabilimenti del futuro sono costituiti da cerchi concentrici fra virtuale e reale, fra gestione e innovazione, fra servizio e prodotto, fra difesa e sviluppo della persona. Per questo gli uffici del futuro vanno progettati come organizzazioni evolute, come sistemi sociotecnici, come piccole società, come dispositivi per proteggere e sviluppare insieme efficienza/efficacia economica e la qualità della vita: uffici fisici combinati con uffici virtuali, a seconda del tipo di valorizzazione, processo, del cliente, delle persone.
Il centro di gravità del sistema di cerchi concentrici in ogni caso sarà la persona e la sua professione, che opererà fisicamente in un luogo comune ad altri oppure da sola in uffici “virtuali”. Per usare un linguaggio nel gergo consulenziale si svilupperanno staff based supply chains.
I criteri di organization design che abbiamo indicato prima sono applicabili anche dove è prevalente il lavoro che richiede il rapporto diretto con il cliente, oppure la presenza presso impianti di trasformazione fisica, l’erogazione di attività manuale. Anzi, questi criteri sono stati sviluppati proprio più in ambito industriale. Il superamento della catena di montaggio, lo sviluppo di team autoregolati, i sistemi sociotecnici, i sistemi di produzione lean “tirati” dalla domanda del cliente, gli x-team a cerchi concentrici dei laboratori di ricerca e della produzione aeronautica e spaziale, le organizzazioni per processo, le organizzazioni customer driven, i ruoli aperti responsabili, i nuovi mestieri e molto altro sono stati sviluppati nel mondo della produzione fisica non meno che in quello dei processi simbolici.
Questi criteri sono applicabili a un mondo del lavoro che si lascia dietro i paradigmi di coordinamento e controllo gerarchico e di spinta alla divisione del lavoro che hanno richiesto per blue collar e white collar quello che Foucault aveva definito il mondo del “sorvegliare e punire”, che ha generato dal panopticon ai capi “cani da guardia”, dal cartellino orologio al cottimo e ai tanti dispositivi la cui inapplicabilità nel telelavoro preoccupa molti manager.
3.2. Il lavoro sarà sempre più centrale nella vita delle persone, ma sarà basato su categorie nuove: i ruoli e le professioni
La quota di lavoro a distanza aumenterà senza eliminare il lavoro in presenza. Questo porrà problemi, ma anche genererà una spinta a equilibrare tempo di lavoro e tempo di vita. Andrà riprogettata la domesticità del lavoro insieme a un impulso a migliorare l’organizzazione della vita familiare e a valorizzare il tempo libero, dando maggior valore allo stare in casa come stiamo imparando forzatamente durante il lockdown di questi giorni. Non sarà facile ma si può e si dovrà fare anche dopo, indipendentemente dal numero di giorni alla settimana in cui si lavorerà da casa.
L’elemento principale che occorrerà cambiare è la concezione del lavoro. Questo percorso era già iniziato nelle imprese e in misura minore nelle Pubbliche Amministrazioni.
Dal modo del lavoro definito da compiti, mansioni, posizioni, livelli, collocazione nelle classificazioni e negli organigrammi si passerà a un mondo in cui il lavoro sarà composto e gestito in termini di ruoli e di professioni.
I ruoli
I ruoli aperti saranno le cellule viventi dei nuovi sistemi di lavoro e sostituiranno i mattoni delle mansioni e delle posizioni prescritte nel taylor-fordismo. I ruoli sono copioni, ossia definizione di aspettative formalizzate o meno (quello che ci si aspetta dalle persone anche oltre i profili formali). Questi poi divengono ruoli agiti allorché vengono animati, interpretati e arricchiti. I nuovi ruoli saranno fra loro diversissimi per contenuto, livello, valore, competenze richieste, ma saranno tutti basati su quattro componenti essenziali, diverse dalle componenti del lavoro delle mansioni taylor-fordiste:
– Le responsabilità sui risultati, ovvero responsabilità sugli esiti materiali e immateriali, economici e sociali del lavoro;
– l’autonomia e il governo dei processi di lavoro, ossia controllo dei processi di fabbricazione di beni, di elaborazione di informazioni e conoscenze, di utilizzazione dei dati, di generazione di servizi, di ideazione, di attribuzione di senso, di creazione;
– la gestione positiva delle relazioni con le persone e con la tecnologia, cioè come lavorare in gruppo, comunicare estesamente, padroneggiare le tecnologie;
– il possesso e la continua acquisizione di adeguate competenze tecniche di dominio, competenze digitali e competenze sociali.
Le competenze richieste dai ruoli che si vanno configurando nella Rivoluzione digitale implicano la combinazione e la sintesi di competenze di dominio (meccanica, chimica, economia, data science, amministrazione etc.), competenze organizzative (come funziona l’ufficio, il sistema organizzativo), competenze digitali, competenze sociali (negoziare, decidere, formare, reggere l’incertezza etc). Questo implica l’uso di tutte le forme di conoscenza teorica e pratica (il sapere perché, il sapere che cosa, il sapere come, il sapere per chi, il sapere usare le routine, il sapere usare le mani, etc.); la maestrìa; la “creatività e regolatezza”; l’integrazione tra lavoro manuale e intellettuale e, in molti casi, l’“intelligenza nelle mani”; la capacità di cooperazione, di condivisione delle conoscenze, di comunicazione estesa e di senso della comunità. Inoltre, tutte queste competenze contengono una vocazione a fornire un servizio e un’esperienza eccellente ai clienti esterni o interni, sia attraverso l’intermediazione di un prodotto che contenga i loro sogni e bisogni sia attraverso la relazione.
Mestieri e professioni a banda larga
Mansioni regolamentate, profili definiti da curriculum scolastici, mestieri consolidati, professioni ordinistiche verranno rapidamente resi obsoleti e sostituiti con altri che non hanno ancora nome?
Conosciamo già un dispositivo che consente di portare a unità diversissimi lavori fortemente differenziati per livelli di responsabilità, di remunerazione, di seniority: quello dei mestieri (ahimè in gran parte distrutti dalla rivoluzione taylor-fordista) e delle professioni (ahimè ristrette entro i confini degli ordini professionali: medici, giornalisti, ingegneri, geometri, ecc). Le professioni, oltre a un ampio dominio di capacità e conoscenze (talvolta esclusive) costruite attraverso un riconoscibile percorso di studi e di esperienze, sono caratterizzate anche da un “ideale di servizio” caratterizzante e impegnativo (deontologia professionale). Sono sorte in questi decenni quasi-professioni che svolgono la stessa funzione di mestieri e delle professioni “ordinistiche”, ma che non sono riconosciute dagli ordinamenti pubblici e dagli ordini professionali: i progettisti ICT, gli esperti di materiali, i tecnico-commerciali, i tecnici di meccatronica, i professional della pianificazione e controllo, gli esperti di risorse umane, i tecnici di logistica e molte altre.
Il modello del mestiere e della professione include un’estrema varietà di situazioni occupazionali concrete: un medico è medico che sia cardiologo o psichiatra, o che sia un ospedaliero o libero professionista, che sia un professore universitario o uno specializzando, ecc.
Il modello del mestiere e della professione racchiude inoltre diverse funzioni convergenti: esso è al tempo stesso a) parte essenziale del sistema di erogazione di un servizio; b) fonte primaria dell’identità lavorativa delle persone malgrado i cambi di attività; c) sistema di gestione e sviluppo delle persone che individua percorsi formativi e di sviluppo in cui esse si possono orizzontare.
I mestieri e le professioni sono le molecole dei nuovi sistemi di lavoro.
Conclusioni. La riconfigurazione del lavoro in ruoli e mestieri/professioni è in corso, spinta da un’esigenza di lavori più responsabili e centrati sui risultati. Il telelavoro può diventare universalmente diffuso solo alla condizione che l’impianto dei lavori cambi, abbandonando con questo l’apparato di prescrizione e di controllo gerarchico scarsamente compatibile con il lavorare da casa.
4. Conclusione: la progettazione
La quota di lavoro a distanza aumenterà senza eliminare il lavoro in presenza. Per questo parlo di lavoro ubiquo. Gli apprendimenti dell’esperimento del lockdown forniranno elementi su come sviluppare i vantaggi e come minimizzare gli svantaggi, tenendo conto delle differenze individuali (chi ha uno studio attrezzato a casa, chi deve fare le videoconferenze in cucina con i bambini) e a livello organizzativo (organizzazioni basate su progetti versus organizzazioni basate su procedure). Questo genererà una spinta a equilibrare tempo di lavoro e tempo di vita, senza confonderli. Andrà riprogettata la domesticità del lavoro insieme a un impulso a migliorare l’organizzazione della vita familiare e a valorizzare il tempo libero, dando maggior valore allo stare in casa come stiamo imparando forzatamente durante il lockdown di questi giorni. Non sarà facile, ma si può e si dovrà fare anche dopo, indipendentemente dal numero di giorni alla settimana in cui si lavorerà da casa. Andrà riprogettato il layout degli uffici con una revisione degli open space.
Tutto questo deve e può essere oggetto di progettazione congiunta fra impresa e sindacato, fra datore di lavoro e lavoratori, lasciando spazio alla sperimentazione e al fine tuning.
[1] Una diversa e più estesa versione è pubblicata su Studi Organizzativi, 1 2020.