N. Settembre 2020
a cura di Carmen Camarca
Analyst, The Innovation Group
Nello stesso giorno in cui gli Stati Uniti hanno annunciato il calo del PIL, nel secondo trimestre 2020, del 32,9% su base annua, Apple, Amazon, Google e Facebook riportavano i dati finanziari relativi al trimestre conclusosi il 30 giugno. Nel complesso, pur confermando tendenze già evidenziate in precedenti articoli sul tema, le trimestrali pongono, in realtà, diverse incognite per i prossimi mesi: si può prevedere per la seconda parte dell’anno il ripristino della situazione pre-Covid o si sta andando verso il consolidamento di un nuovo, inaspettato, scenario?
In particolare, per quanto riguarda Apple, i dati mostrano come stiano continuando a crescere i segmenti “Servizi” (le cui vendite sono aumentate del 14,8% su base annua, raggiungendo i 13,16 miliardi di dollari) e “Wearable, Home and Accessories” (+16,7%, 6,45 miliardi di dollari). Positiva, inoltre, la performance degli iPhone (complice anche il lancio del nuovo modello iPhone SE avvenuto lo scorso aprile) le cui vendite hanno superato di oltre 4 miliardi le attese degli analisti e generato ricavi per 26,42 miliardi di dollari, un risultato ancora più interessante se si considera la chiusura degli store fisici. Inoltre, grazie soprattutto alla forte spinta di smart working ed e-learning, sono state positive anche le vendite di iPad (+31% su base annua, pari a 6,58 miliardi di dollari) e Mac (+22%, 7,08 miliardi di dollari). Nel complesso la società di Cupertino ha registrato 59,69 miliardi di dollari di entrate e 2,58 dollari per azione (rispetto alle aspettative degli analisti di 52,25 miliardi di dollari e 2,04 dollari per azione); nelle contrattazioni after-hours il titolo è aumentato del 5%.
Bene anche Amazon che, nonostante i costi extra sostenuti a causa della pandemia (l’aumento del numero di dipendenti per far fronte alla forte domanda di consegne a domicilio e le spese per garantire la sicurezza dei fattorini), riporta, nel secondo trimestre 2020, un aumento dei ricavi del 40% su base annua, raggiungendo 88,9 miliardi di dollari (superando di gran lunga le stime degli analisti ferme a 81,2 miliardi di dollari). Da record gli utili che hanno raggiunto 10,2 dollari per azione (contro una media delle previsioni degli analisti di 1,51 dollari).
Inoltre, Amazon AWS ha generato revenue pari a 10,808 miliardi di dollari, in crescita del 29% su base annua (inferiore alle stime degli analisti che prevedevano 11, 02 miliardi di dollari). Va, tuttavia, rilevato che la divisione AWS, che rappresenta il 12% delle revenue totali di Amazon, per la prima volta da quanto è stata lanciata (nel 2015) non è stato il segmento a riportare la maggiore crescita all’interno del business aziendale. Il fenomeno deve essere attribuito, più che ad una performance non particolarmente brillante della divisione Cloud, alla forte crescita del comparto e-commerce, inevitabilmente il settore a cui si è fatto maggiormente ricorso nei mesi di emergenza più acuta.
Situazione del tutto differente, invece, per Alphabet (la casa madre di Google) e Facebook che hanno il proprio core business nell’online advertising, un mercato, come più volte affermato, impattato in maniera significativa dalla crisi pandemica. In particolare, per Google Advertising si rileva, per il secondo trimestre consecutivo, un calo delle entrate pubblicitarie, registrando una flessione delle revenue del 9% su base annua e riportando quasi 30 miliardi di dollari (un dato, tuttavia, compensato da una crescita del 43% delle revenue derivanti da Google Cloud, pari a 3 miliardi di dollari). Per quanto riguarda Facebook, invece, nonostante l’online advertising abbia riportato una crescita del 10% su base annua (raggiungendo 18 miliardi di dollari di revenue), si prevede, soprattutto per i prossimi mesi, una riduzione delle entrate pubblicitarie dovuta alle recenti attività di boicottaggio di cui l’azienda è stata vittima e in seguito alle quali diversi clienti hanno deciso di ritirare le inserzioni pubblicitarie aderendo alla campagna #StopHateForProfits; una vicenda che potrebbe, appunto, andare a gravare ulteriormente sul previsto calo delle revenue derivanti dall’advertising.
Degli impatti della crisi pandemica sul mercato del digital advertising avevamo già parlato in un precedente articolo evidenziando in modo particolare come al minore budget dedicato agli investimenti pubblicitari online si accompagni un aumento del consumo mediale da parte degli utenti (un fenomeno verificatosi soprattutto durante il lockdown). Il digital advertising era un mercato, prima della crisi pandemica, in costante crescita, il cui calo è stato più volte attribuito alla diminuzione degli investimenti dedicati al settore, dovuta soprattutto alla rivisitazione delle strategie e dei piani di budget aziendali in cui è stata data priorità a soluzioni che hanno permesso di fronteggiare meglio gli shock che si sono verificati. Ciò emerge in maniera ancora più evidente se si prendono in considerazione gli ultimi dati trimestrali di Microsoft da cui si rileva come la divisione Productivity and Business Processes Unit (in cui rientrano i software di collaboration) abbia riportato entrate pari ad 11,75 miliardi di dollari con una crescita del 6% rispetto allo stesso trimestre del 2019: pur trattandosi di dati al di sotto delle stime degli analisti (che prevedevano revenue pari a 11,91 miliardi di dollari e ben lontani dai picchi di domanda registrati nei primi mesi dell’emergenza), non si può ancora parlare di un’inversione di trend. Ad ogni modo Microsoft ha riportato risultati soddisfacenti anche nel segmento Intelligent Cloud che ha registrato ricavi per 13,37 miliardi di dollari, in crescita del 17% su base annua (superiori anche in questo caso alle attese degli analisti, ferme a 13,11 miliardi di dollari). Nel dettaglio, la crescita delle revenue di Azure è stata del 47% (contro il +59% registrato nel trimestre precedente) e, pur non rilevando il valore preciso, la società ha fatto sapere che il suo business nel cloud ha superato i 50 miliardi di dollari nell’anno fiscale.
L’incognita Netflix
In seguito al lockdown, Netflix ha riportato, nel trimestre terminato il 30 giugno, 10,09 milioni di nuovi sottoscrittori nel mondo, superando le attese degli analisti ferme a 8,07 milioni e raggiungendo un totale di 193 milioni di abbonati. I ricavi sono aumentati del 6,6% a 6,15 miliardi di dollari, in linea con le attese, con un utile per azione nel periodo di 1,59 dollari.
Fonte: Rielaborazione TIG su dati Netflix, 2020
Tuttavia, per il terzo trimestre dell’anno l’azienda prevede 2,5 milioni di nuovi abbonati (al di sotto delle attese degli analisti che stimavano un aumento di 5 milioni di nuovi abbonati) e 6,33 miliardi di dollari di ricavi su un utile per azione di 2,09 dollari. A causa di tali previsioni, soprattutto relative al numero dei nuovi abbonati, nelle contrattazioni after-hours il titolo ha avuto un crollo del 15%.
Secondo le stime di The Innovation Group il mercato SVOD – Subscription Video On Demand, di cui appunto Netflix è uno dei principali player, è stato uno dei segmenti del mercato digitale a crescere maggiormente, un fenomeno dovuto senz’altro al maggior tempo libero a disposizione delle persone (di fatto costrette a rimanere nelle proprie case). Adesso le previsioni dell’azienda, che nei mesi scorsi si era sempre mostrata ottimista in relazione al futuro, pongono diverse incognite e, soprattutto, inducono a riflettere se l’offerta sempre più vasta dei contenuti in streaming e la decisione di molti operatori “tradizionali” di spostarsi sui canali digitali, richiedendo a volte la sottoscrizione di un servizio, potrebbe portare ad una saturazione del mercato.
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