È noto come uno dei principali motivi per cui il virus ha avuto un effetto così devastante sull’Italia sia stato l’impreparazione del Paese ad affrontare un’ inaspettata emergenza di tali dimensioni. Si pensi, ad esempio, all’esperienza di Taiwan, un contesto che ha affrontato la crisi pandemica con maggiore preparazione rispetto all’Italia, adottando sin da subito delle abitudini sociali differenti da quelle italiane. Al riguardo merita di essere citata un’ interessante iniziativa promossa dal governo taiwanese che ha previsto il lancio della campagna social “Humor over Rumors” volta a raccontare storie e fatti reali in modo divertente per contrastare la diffusione delle fake news.
Con riferimento all’attività di contact tracing, utile ed importante elemento di risposta all’epidemia, vanno rilevate due dimensioni. La prima è in relazione alla necessità di fermare la diffusione dei contagi: in quest’ambito bisogna intervenire con velocità su ogni persona entrata in contatto con il primo individuo che risulta positivo, prima che contagi altri. Ma il tempo di testing è superiore rispetto alla velocità di propagazione (serial interval) per cui per bloccare la diffusione in modo totale richiede di intervenire non solo sui contatti diretti della persona contagiata, ma anche sui loro contatti e sui contatti dei loro contatti. Per fare ciò è necessario essere in possesso di tutta la rete dei contatti ed interazioni di una grande parte della popolazione. Il secondo valore è la possibilità di usare le informazioni ottenute come “sonde” per scoprire dove nascono nuovi focolai su cui agire. In questo modo potrebbe essere possibile, ad esempio, agire con misure mirate e di contenimento specifiche per determinate zone.
L’attività di “tracing” richiede, poi, di essere accompagnata da una di “testing” e “treatment” ponendo la necessità di prendere in considerazione tematiche di sicurezza e privacy siaper l’attività di tracing sia a valle della stessa. Si è molto discusso se adottare un modello centralizzato o decentrato (soluzione, quest’ultima, scelta dall’Italia basata su tecnologia bluetooth e in cui i dati raccolti dalle app rimangono sui cellulari degli utenti). Bisogna comprendere che non può essere stabilita a priori la sicurezza di un sistema: possedere una gestione centralizzata rispetto ad una distribuita non vuol dire avere maggiori garanzie, tuttavia tale aspetto potrebbe impattare sull’opinione del pubblico dal momento che un sistema totalmente distribuito potrebbe – anche controintuitivamente – apparire come più sicuro e il pubblico potrebbe essere più incline all’installazione; dato che la diffusione è un parametro importante per il successo dell’iniziativa, adottare una architettura che le persone ritengono più sicura è un fattore abilitante. Non esiste una verità; in alcuni luoghi la tematica è controversa e dipende molto dalle culture, dagli stili di vita e dalla fiducia che i cittadini dei diversi Paesi hanno nelle loro autorità.
La soluzione scelta ha ottenuto, al giugno 2020, oltre 4 milioni di installazioni, un risultato non sufficiente per il primo possibile scopo (bloccare la diffusione dei contagi) ma invece utile per il secondo (l’analisi epidemiologica), pari a circa il 10% della popolazione target (in Italia si contano circa 40 milioni di persone in possesso di uno smartphone). In tali risultati bisogna tener conto innanzitutto della percezione delle persone e della loro capacità di informarsi ricorrendo a fonti di qualità (un’azione che viene resa sempre più difficile dal proliferare delle notizie sul web); probabilmente anche tale fenomeno ha contribuito a far sì che i cittadini non ritenessero opportuno scaricare l’app.