L’Istat pubblica il Rapporto annuale 2020 secondo cui in Italia i potenziali smart workers sono circa 8,2 milioni mentre per TrendMicro in Italia 3 lavoratori da remoto su 4 hanno sviluppato più consapevolezza sulla cybersecurity. In difficoltà la pubblicità digitale di Google e Facebook: interviene l’Antitrust inglese.
Oltre 8 milioni di italiani potrebbero lavorare in smart working
Gli occupati che potenzialmente potrebbero svolgere il proprio lavoro da casa sono circa 8,2 milioni (35,7% del totale), dei quali 1 milione (12,1%) ha concretamente sperimentato questa possibilità nel corso del 2019. E’ quanto emerge dal Rapporto annuale 2020 dell’Istat secondo cui il lavoro da remoto potrebbe riguardare maggiormente le donne occupate (37,9% contro 33,4% degli occupati uomini), gli ultracinquantenni (37,6% contro 29,5% dei giovani occupati), il Centro-nord (37% contro 28,8% del Mezzogiorno) e i laureati (64,2%).
Secondo l’Istat possono essere svolte da remoto «in condizioni ordinarie soprattutto le professioni nei comparti dell’informazione e comunicazione, delle attività finanziarie e assicurative e dei servizi alle imprese (con quote tra il 60 e il 90%)»: in queste aree, nel 2019, il lavoro da casa ha interessato una quota relativamente alta di occupati (rispettivamente 19,8%, 10,9% e 22,1%). Inoltre, nell’ambito della Pubblica Amministrazione il lavoro a distanza potrebbe coinvolgere il 56,5% dei dipendenti ma ad utilizzarlo, nel 2019, è stato solo il 2,7%.
Secondo il Rapporto, infine, allo stato attuale sono oltre 4 milioni i lavoratori italiani in smart working, 3 milioni in più rispetto al 2019, con una percentuale di chi lavora da casa progressivamente in aumento, passando dal 12,6% di marzo al 18,5% di aprile.
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Secondo il Rapporto Annuale 2020 dell’Istat, a metà 2020 il quadro economico e sociale italiano si presenta eccezionalmente complesso e incerto. Al rallentamento congiunturale del 2019 si è sovrapposto l’impatto della crisi sanitaria e, nel primo trimestre, il Pil ha segnato un crollo congiunturale del 5,3%.
Dal lato della domanda, i consumi privati hanno segnato una caduta del 6,6% rispetto al trimestre precedente, gli investimenti dell’8,1%, mentre vi è stato un contributo positivo delle scorte. Sul fronte degli scambi con l’estero, il calo delle esportazioni è stato più intenso di quello delle importazioni (rispettivamente -8,0% e -6,2%).
Il 73% di chi ha lavorato da remoto ha sviluppato una maggior consapevolezza nei confronti della cybersecurity, anche se permangono alcuni comportamenti a rischio. Il dato emerge da una recente ricerca di Trend Micro, dal titolo «Head in the Clouds» che ha coinvolto 13.200 lavoratori in 27 Paesi (oltre 500 dei quali in Italia) con l’obiettivo di approfondire l’atteggiamento dei lavoratori da remoto nei confronti delle policy aziendali IT e di cybersecurity.
Tra le principali risultanze, è emerso che il livello di security oggi è molto alto, con l’88% dei dipendenti italiani (contro l’85% a livello globale) che dichiara di osservare attentamente le istruzioni del Team IT e l’86% (81% globale) d’accordo nell’affermare che la sicurezza della propria azienda è parte integrante delle responsabilità di ciascun dipendente.
Inoltre, il 64% (dato analogo a quello globale) considera l’utilizzo di applicazioni non ufficiali sui dispositivi aziendali un rischio.
I BIG DELLA PUBBLICITA’ DIGITALE
Sempre più aziende stanno decidendo di sospendere i propri investimenti pubblicitari su Facebook
Un numero sempre maggiore di grandi aziende, americane e non solo, ha deciso di boicottare Facebook aderendo alla campagna Stop Hate For Profits (che combatte la diffusione di contenuti razzisti, violenti o che fanno disinformazione sui social network) chiedendo agli inserzionisti del social network di sospendere almeno per tutto luglio (con il rischio che la sospensione possa valere fino alla fine dell’anno) la spesa pubblicitaria su Facebook negli Stati Uniti.
Le ragioni del boicottaggio sono state spiegate in un annuncio pubblicato sul Los Angeles Times, indicando come Facebook abbia permesso la diffusione di contenuti «che incitavano alla violenza contro i manifestanti che combattono per la giustizia razziale».
Per quanto riguarda le conseguenze, per il momento gli esperti di marketing e social network non pensano che Facebook potrebbe subire una grande perdita dovuta al boicottaggio: la piattaforma ha più di 8 milioni di inserzionisti attivi e i suoi ricavi sono dovuti principalmente a un gran numero di aziende piccole e medie.
NOTIZIA CORRELATA – Cosa suggerisce l’Antitrust inglese per limitare il potere di Google e Facebook
Il Cma (Competition and Markets Authority), l’Autorità per la concorrenza e il mercato inglese ha delineato, nella sua ultima ricerca, la necessità per il governo britannico di adottare un nuovo regime normativo pro-concorrenza per limitare lo strapotere di Google e Facebook nel mercato del digital advertising.
Nel dettaglio le raccomandazioni si possono riassumere in 4 punti cardine:
- Stabilire un codice di condotta esecutivo per disciplinare il comportamento delle piattaforme finanziate dalla pubblicità digitale e instaurare un commercio equo basato sulla fiducia e trasparenza.
- Creare una Digital Markets Unit (Dmu) con la funzione di far rispettare il codice e penalizzare le imprese, se necessario.
- Conferire alla Dmu i poteri per far rispettare i principi del codice in modo tempestivo e modificarne i principi in linea con le condizioni di un mercato in evoluzione.
- Attribuire alla Dmu i poteri necessari per introdurre interventi a favore della concorrenza e relativi ai dati, ovvero permettere al consumatore il controllo sui dati, l’interoperabilità, l’accesso e i poteri di separazione dei dati.