La Commissione Europea stima per il 2020 una caduta del PIL Italia pari al 9,5%. Ancora nel caos la vicenda relativa all’app “Immuni” mentre indaga il Copasir. Ma il Covid-19 avvicina gli italiani al mobile e online banking.
L’Italia è “in profonda recessione”, con un calo del PIL che a fine anno raggiungerà un -9,5%. A dirlo è stata la Commissione Europea nelle sue consuete previsioni economiche di primavera. L’eurozona, invece, segnerà una recessione del 7,7%, con alcuni paesi (tra cui la Germania) che riusciranno a uscire dalla crisi più rapidamente di altri.
Ancor più preoccupanti sono le stime sul debito pubblico italiano che nel 2020 arriverà al 159% del PIL per ripiegare leggermente nel 2021 al 153,5%. Per quanto riguarda il deficit, si stima che quest’anno salirà all’11% (per poi scendere al 5,5% nel 2021).
In media, il deficit della zona euro sarà dell’8,5% nel 2020 e il debito del 102,7% (dall’86% dello scorso anno).
IL DOCUMENTO DELLA COMMISSIONE
Che futuro prevedono i manager globali dopo la recessione dovuta all’emergenza sanitaria del Coronavirus? L’ampia maggioranza (54%) prevede un periodo di recupero prolungato a “U”, con un’attività economica rallentata fino al 2021, mentre per il 38% ci sarà una ripresa più rapida a “V” e un ritorno ai livelli pre-crisi già nel terzo trimestre 2020. Solo l’8% teme una ripresa a “L”, con un periodo di recessione prolungato fino al ritorno della normale attività economica nel 2022. E’ quanto emerge dalla XXII edizione del Global Capital Confidence Barometer (CCB), il sondaggio condotto da Ernst&Young su oltre 2.900 top manager in 46 paesi del mondo. Dallo studio è, inoltre, emerso che i dirigenti stanno già da ora rivedendo i propri modelli operativi in risposta alla crisi. In particolare, oltre la metà del campione (52%) ha dichiarato di star modificando gli attuali assetti delle proprie catene del valore, poiché, come si legge dal rapporto, «il crescente arresto delle attività in molte parti del mondo ha messo in luce le vulnerabilità nelle supply chain di molte aziende». Il 41%, invece, sta investendo nell’accelerazione dell’automazione.
Dopo l’emergenza, i top manager dichiarano che daranno priorità a nuovi investimenti in ambito tecnologico e digitale (73%) e nell’allocazione di capitale all’interno del proprio portafoglio (71%).
Il mercato degli smartphone ha subìto un forte calo nel primo trimestre 2020. In particolare sono diminuite le consegne, scese a 272 milioni di dispositivi, registrando una flessione del 13% rispetto allo stesso periodo del 2019. A riportarlo sono le stime della società di ricerca Canalys, che nel suo report trimestrale sul mercato degli smartphone, ha indagato sia l’andamento generale sia le prestazioni del singoli produttori.
Per quanto riguarda le performance dei principali produttori, dallo studio emerge che Samsung è ancora il principale player sul mercato, con circa 60 milioni di smartphone consegnati (-17% rispetto allo stesso periodo dello scorso anno), seguita da Huawei con 49 milioni di device (-17% su base annua, anche se sta riportando segnali di crescita in Cina, seppur lievi, pari al +1%) ed Apple, che limita il calo all’8% con 37 milioni di unità.
Meno clienti agli sportelli e più utenti sui canali digitali: il lockdown ha incentivato la trasformazione del modo in cui i consumatori interagiscono con le loro banche. A riportarlo è lo studio “Retail Banking in the New Reality” di Boston Consulting Group basato su un campione di 5.000 rispondenti in 15 mercati (tra cui l’Italia).
Per quanto riguarda l’Italia, il 58% dei clienti bancari si è dichiarato pronto ad aprire un conto attraverso online o mobile banking nel caso in cui la filiale non fosse accessibile. Il 51% degli intervistati ha, inoltre, dichiarato di aver intensificato il proprio rapporto con la banca di riferimento sul canale online mentre il 54% ha aumentato l’uso del mobile. Il 27%, infine, prevede poi di ridurre o cessare la frequentazione della filiale anche a crisi terminata, una quota che si colloca sopra la media globale.
Cosa succederà, a livello lavorativo, dopo l’emergenza Coronavirus? Ha provato a rispondervi la società di ricerca e selezione EasyHunters con un sondaggio condotto su circa 13.000 lavoratori di aziende di settori e dimensioni differenti. In particolare, dall’indagine è emersa la netta spaccatura tra chi vuole tornare in ufficio (il 44%) e chi preferirebbe rimanere a casa e continuare, quindi, a lavorare in condizioni di smart working (56%). Di quest’ultimo gruppo, il 32,3% vorrebbe rientrare appena ricevuta una comunicazione ufficiale dal governo, il 31,5% a settembre mentre il 29,8% tra giugno e luglio.
Il coronavirus ha ampliato il digital divide. A evidenziarlo è l’ultima ricerca del Capgemini Research Institute dal titolo “The Great Digital Divide: Why bringing the digitally excluded online should be a global priority”, da cui emerge che anche senza la pandemia globale il digital divide è legato a tre fattori: età, reddito ed esperienza.
L’analisi evidenzia come quasi il 40% della popolazione offline che vive in condizioni di povertà non abbia mai utilizzato internet per via del costo proibitivo: ciò impedisce a queste persone di accedere ai servizi pubblici, come ad esempio informazioni sanitarie essenziali (considerato soprattutto che i governi fanno sempre più affidamento sulle risorse online). Da qui l’urgenza – sottolinea lo studio – di colmare il gap tra la popolazione online e quella offline, vista come priorità sia delle organizzazioni pubbliche sia delle private, che devono collaborare per assicurarsi che l’accesso ai servizi essenziali sia universale.
[CONTACT TRACING]
Nell’ottica di far ricorso ad app di tracciamento per monitorare l’andamento della pandemia Covid-19, la protezione dei dati personali dei cittadini non può considerarsi «un problema, ma anzi fa parte della soluzione». Lo precisa il Garante europeo dei dati personali, Wojciech Wiewiorowski, in uno scambio di vedute con la commissione per le libertà civili dell’Europarlamento sulle applicazioni di tracciamento dei contatti a cui molti paesi, Italia compresa, stanno lavorando per gestire la “fase 2” della pandemia.
L’Unione europea – ha proseguito il Garante – ha la «responsabilità morale di usare gli strumenti tecnologici di cui dispone per combattere il Coronavirus ma anche di ridurre al minimo l’impatto sui diritti fondamentali e le libertà, compreso il diritto alla protezione dei dati personali. Per tali ragioni – ha concluso – è in programma un’analisi delle implicazioni a lungo termine della pandemia per i diritti e le libertà fondamentali, che sarà elaborata entro la fine dell’anno.
Sull’app Immuni si infittiscono i dubbi. E’ stata presentata come “l’app ritenuta più idonea” dal commissario Arcuri ma in realtà non è così. I membri del gruppo numero 6 della task force per l’utilizzo dei dati contro l’emergenza Covid-19, non avevano effettuato alcuna scelta, piuttosto avevano due possibili soluzioni: Immuni e CovidApp, suggerendo di testare in parallelo entrambe prima di prendere una decisione definitiva. Eppure il ministro per l’Innovazione, Paola Pisano (M5s), ha comunicato un esito diverso al presidente del Consiglio Conte, attribuendo la scelta dell’app Immuni alla task force.
Il Copasir torna ad occuparsi dell’applicazione di contact tracing Immuni, che servirà per gestire la fase 2 del Coronavirus. Dopo aver ascoltato la ministra dell’Innovazione, Paola Pisano, il Comitato parlamentare per la sicurezza della Repubblica, ha deciso di riascoltare anche il capo del Dis, Gennaro Vecchione, già interrogato nei giorni scorsi: le versioni dei due non combaciavano su alcuni punti. Il Governo, e il ministro Pisano in particolare, hanno scelto di far sviluppare soltanto la App Immuni e non anche quella di CovidApp, come indicato dalla commissione di esperti. La decisione – ha spiegato il ministro – è stata dovuta a motivi di tempo e di costi ed era stata condivisa, oltre che con il ministero della Sanità e quello dell’Interno, anche con il Dis di Gennaro Vecchione che avrebbe espresso la preferenza per Immuni essendo coerente con le direttive europee. Tuttavia, la versione del ministro non corrisponde con quella offerta da Vecchione che aveva sostenuto di essere stato coinvolto dal ministero a scelta già avvenuta. Per tali ragioni adesso il Copasir ora li riascolterà entrambi.
Il Mit di Boston ha pubblicato sul proprio sito un monitoraggio pr valutare le diverse di app di contact tracing sviluppate dai Paesi per far fronte alla pandemia.
Per giudicare le varie app sono stati utilizzati cinque criteri: la volontarietà nell’adozione, le limitazioni messe ad un utilizzo improprio dei dati, la presenza di politiche per la distruzione dei dati, la quantità dei dati immagazzinati (verificandone l’indispensabilità) e la trasparenza della gestione.
Bocciate le app messe in piedi da Cina, Iran e Turchia (a causa dell’invasivo trattamento dei dati) ma anche quelle di Francia o Irlanda. Tra i promossi invece, oltre alle app dei paesi del nord Europa, c’è anche l’app italiana Immuni.