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Il Contact Tracing per la ripresa della Mobilità
N.  Maggio 2020
        

a cura di Elena Vaciago 
Associate Research Manager, The Innovation Group

 

La ripresa delle attività e della mobilità delle persone nella fase 2 del post lockdown sarà facilitata dalla disponibilità dell’app nazionale di contact tracing. In Italia, è stata scelta dal Governo l’app “Immuni” di Bending Spoons dopo una selezione su oltre 300 proposte pervenute.

Contact tracing con Immuni: cos’è, come funziona

Il contact tracing è da sempre uno dei migliori sistemi per prevenire il contagio da malattie infettive e quindi limitare la diffusione delle epidemie: è stato utilizzato in passato (con interviste dirette) per polio, HIV/AIDS, Ebola. La tecnologia cellulare, oggi disponibile in gran parte della popolazione, rende più efficace il tracciamento, in quanto alcuni contatti potrebbero sfuggire alla memoria di chi viene intervistato, specialmente se, come nel caso del Covid-19, i giorni da considerare sono numerosi. Inoltre, oggi nella maggior parte dei casi il contact tracing abilitato da Mobile utilizza la tecnologia di comunicazione Bluetooth, che funziona in vicinanza di una persona e quindi sembrerebbe perfetta a individuare un eventuale contagio con un virus che si propaga in prossimità di chi è infetto. L’app Immuni scelta per l’Italia permette in sostanza di tenere traccia di tutte persone con cui siamo entrati in contatto (per almeno 15 minuti, a una distanza tra 1 metro e 2 metri) nelle ultime settimane: se qualcuno di questi risulta poi infetto, veniamo avvisati, in modo che sia interrotta la catena del contagio tramite l’isolamento preventivo dei potenziali contagiati.

 

Esperienze internazionali, il caso dell’Australia

Tra le esperienze internazionali più interessanti di contact tracing abilitato da Mobile, quella già in corso in Australia con l’app COVIDSafe. L’app è sempre in esecuzione durante il giorno e quando si entra in contatto con altre persone. Le informazioni sono crittografate e l’identificatore crittografato viene archiviato in modo sicuro sul telefono (neanche l’utente vi può accedere). Le informazioni di contatto memorizzate nei cellulari delle persone sono eliminate (tenendo conto del periodo di incubazione Covid-19 e del tempo necessario per il test) in un ciclo continuo di 21 giorni. Quando alle persone viene diagnosticata la positività al virus, i funzionari sanitari chiedono a loro o ai loro genitori / tutori con chi sono stati in contatto. Se questi soggetti dispongono dell’app COVIDSafe e forniscono l’autorizzazione, le informazioni di contatto crittografate dall’app sono caricate su un sistema di archiviazione sicuro. A questo punto i funzionari sanitari utilizzano i contatti acquisiti dall’app per risalire ai contatti e chiamare le persone da avvisare, offrendo nel contempo consigli sui passi successivi (ad esempio, come e dove sottoporsi al tampone, fino a quali precauzioni adottare per proteggere amici e parenti da un’eventuale esposizione), il tutto senza mai nominare la persona risultata infetta. A dispetto di chi pensa che un’app del genere non piaccia alle persone, la COVIDsafe australiana, che è volontaria, in pochi giorni ha raggiunto 2 milioni di download.

(Fonte: CNN; The CovidSafe app was released by the Australian government on Sunday)

 

A che punto siamo in Italia?

Nelle ultime settimane è sorto un vivace dibattito in merito alla scelta del sistema finale da utilizzare con l’app di contact tracing, se centralizzato (come vorrebbero Francia e Regno Unito), in cui la lista di tutti i codici identificativi degli smartphone delle persone con cui un utente è venuto in contatto sono gestiti su un server centrale, o di tipo decentralizzato (approccio scelto invece da Google e Apple) in cui tutti i codici sono gestiti a livello locale, e sul server centrale (collegato ai sistemi sanitari nazionali) sono registrati solo i dati legati agli smartphone delle persone contagiate. Il problema che si è verificato nelle scorse settimane è stato infatti che chi aveva scelto un approccio centralizzato, è incorso in inconvenienti tecnici, in quanto i sistemi operativi iOs e Android non assicuravano un funzionamento corretto. Inoltre, la soluzione di Google-Apple sarebbe più conforme ai dettami della privacy. Tutto questo ha probabilmente portato anche Bending Spoons (che inizialmente aveva sposato il modello centralizzato del progetto europeo progetto PEPP-PT) a propendere oggi per la soluzione DP-3T (modello decentralizzato) e all’utilizzo delle API di Google e Apple: con riferimento a quest’ultime, i 2 big tech hanno cominciato a fornire (il 29 aprile), ad alcuni sviluppatori, la versione Beta dell’aggiornamento dei propri software con l’Api di notifica delle esposizioni e l’Sdk collegato. Il rilascio definitivo delle API da parte di Google e Apple per le app nazionali di contact tracing è previsto a metà maggio.

 

 

Tutto questo fa pensare che sarà fine maggio il termine entro cui sarà disponibile a livello nazionale l’app di contact tracing. Ne avremo bisogno? Sicuramente sì, in quanto permetterà alle persone di muoversi più liberamente, con la possibilità di sapere se si è entrati in contatto con persone infette. Il diario clinico (sezione dell’app per colloquiare con il sistema sanitario) potrebbe però essere pronto più tardi, come ha detto il commissario per l’emergenza Domenico Arcuri.

 

Quali problemi ancora ne mettono in dubbio l’utilizzo?

A parte i tempi legati allo sviluppo e all’operatività completa della soluzione, che appaiono piuttosto lunghi considerato anche il tema delle procedure sanitarie da preparare, il problema principale nel determinare il successo dell’app è legato a quanti ne faranno suo, perché il sistema è efficace se abbastanza diffuso.

In teoria, potrebbe fermare l’epidemia se usata dal 60% delle persone, mentre con numeri di adozione inferiori potrebbe contribuire ad abbassare il numero dei casi ma non fermare i contagi, come ha spiegato Christophe Fraser, professore dell’Università di Oxford: “We’ve simulated coronavirus in a model city of 1 million inhabitants with a wide range of realistic epidemiological configurations to explore options for controlling transmission. Our results suggest a digital contact tracing app, if carefully implemented alongside other measures, has the potential to substantially reduce the number of new coronavirus cases, hospitalisations and ICU admissions. Our models show we can stop the epidemic if approximately 60% of the population use the app, and even with lower numbers of app users, we still estimate a reduction in the number of coronavirus cases and deaths.” Ma non sappiamo con certezza se le app di contact tracing possono aiutare a ridurre la diffusione del contagio, perché non abbiamo informazioni certe in proposito: neanche in Corea del Sud (dove sono state impiegate ampiamente), erano soltanto un tassello del puzzle, e sono stati fatti moltissimi test per rilevare il prima possibile i positivi e isolarli dal resto della popolazione.

E comunque in Italia, secondo un recente sondaggio condotto da Ipsos, a dirsi disponibile a utilizzare Immuni è per ora solo una persona su due: il 19% scaricherà l’app sicuramente, il 31% probabilmente lo farà. A essere contrario all’idea di installare il software invece il 27%.

 

 

Altri problemi sono legati alla privacy e alla sicurezza delle applicazioni (in Italia, di questo si occuperanno il Copasir e il Garante Privacy), ma anche allo stesso funzionamento tecnico, che è tutto da verificare (Immuni sarà testata in un test pilota da 4mila dipendenti della Ferrari nei due stabilimenti di Modena e Maranello, sempre su base volontaria). In particolare, quanto e come dovrà funzionare il Bluetooth e considerando che la tecnologia ha un raggio d’azione ben superiore ai 2 metri (e può passare attraverso muri o barriere di protezione in plexiglass) come sarà evitato il problema dei falsi positivi.

 

 

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