N. Aprile 2020
a cura di Lorenzo Colzi
Consultant, Colin & Partners
La regolamentazione delle nuove tecnologie, indubbiamente, rappresenta la sfida più avanguardistica per i giuristi e per l’ordinamento giuridico stesso. Quest’ultimo, quotidianamente, deve confrontarsi con un progresso tecnico il quale, nativamente, comporta un ritardo ontologico sul processo di normazione dei nuovi fenomeni.
In questo quadro di continua rincorsa tra innovazioni tecnologiche e norme che richiama una lunga maratona fra la tartaruga e Achille (e il progresso tecnico della tartaruga, è evidente, non dovrebbe avere proprio nulla) si inserisce il fenomeno dei cosiddetti Smart Contract. Se ne sente parlare nelle modalità e nei contesti più variegati e, come al solito, in assenza di una normazione chiara e di una cultura di piglio avanguardistico, anche in maniera semplicistica se non, talvolta, addirittura errata.
Spesso i contratti ‘smart’ vengono confusi con la tecnologia blockchain sulla quale potrebbero essere basati, ma non come condizione necessaria. Altre volte vengono accostati a oscure transazioni che avvengono sul deep web, in certi dark market dove il futuro distopico di alcuni film di fantascienza ormai è realtà.
Cerchiamo di sgombrare il campo e fare un po’ di chiarezza: cos’è uno smart contract?
Per dirla alla maniera del web, si tratta di un protocollo informatico (software) che facilita, verifica o fa rispettare un contratto (quantomeno questa è la definizione di Nick Sazbo, inventore del Bit Gold, cripto-valuta mai implementata, e di fatto il Giovanni Battista del Bitcoin).
Nella pratica le cose sono lievemente più complesse e si assiste, nel caso dei “contratti intelligenti”, a una totale automazione del contratto o di parte di esso. Un software compie quindi le azioni – o loro parti – che i soggetti protagonisti del contratto dovrebbero attuare, in maniera del tuo automatizzata al verificarsi di condizioni prestabilite, rendendo fattualmente impossibile l’inadempimento del negozio giuridico.
La differenza rispetto ai classici contratti informatici è lampante, necessitando invece, questi, dell’intervento di un terzo per essere eseguiti (un esempio su tutti il “click” del soggetto che acquista un bene o un servizio su un sito e commerce).
Gli esempi di come gli smart contract siano stati implementati si sprecano: schemi di crittografia finanziaria, contratti di escrow, fino alla gestione dei diritti di protezione della proprietà intellettuale. Pensando nello specifico al diritto d’autore, basta pensare ai mezzi di protezione del copyright su registrazioni musicali, operati attraverso una certificazione blockchain based.
Ora, se la speculazione giuridica ha fatto nascere svariate teorie sull’implementazione di un sistema giuridico autonomo da parte del sistema smart contract (teoria a mio giudizio completamente scartabile e trascurabile), gli interrogativi che si pongono circa il loro utilizzo sono, anche dal punto di vista applicativo, molteplici.
Al momento non sono presenti regolamentazioni a livello Europeo né a livello nazionale, all’interno del paradigma dell’Unione; questo benché le implicazioni di tali strumenti tocchino le aree più disparate della sistematica giuridica.
Dovendo, al momento riportare il tutto a classi mutuate da altri rami dell’ordinamento, si rischia, come sempre in caso di commistione fra tecnologia e diritto, di “fare i conti senza l’oste” e ritrovarsi con categorie giuridiche e dogmatiche completamente inadeguate e potenzialmente superabili. Queste ultime contribuiscono a creare ancora più confusione e disinformazione su fenomeni che invece potrebbero far accelerare determinate aree del diritto, e della burocrazia che ne consegue, a beneficio della collettività.
Se poi si pensa che la maggior parte dei contratti in questione spiega la propria genesi e la propria vita sulla rete, tendenzialmente e potenzialmente fra operatori provenienti da ogni parte del mondo, si aggiunge al quadro anche la questione di eventuali conflitti di giurisdizione. Ovviamente essendo l’inadempimento di tali contratti tecnicamente impossibile tutto questo va ad impattare su contenuto e validità, problemi giuridicamente assai più stringenti e complessi della semplice parte esecutiva.
Le implicazioni lato data protection sono poi anch’esse da considerare. I dati necessari alla conclusione ed esecuzione (sebbene automatica) degli smart contract, se personali, dovranno necessariamente esser trattati in conformità al General Data Protection Regulation (Reg UE n° 2016/679) tenendo conto di tutti i suoi principi, due su tutti, Accountability e Privacy By Design/default.
Come sempre attendiamo con ansia che il processo di normazione raggiunga al più presto questa tartaruga che sembra essere lo smart contract, augurandoci che, per una volta, il ritardo non sia così tremendo, consentendoci di sfruttare appieno le potenzialità che questa nuova tecnologia mette sul tavolo.
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