N. Febbraio 2020
a cura di Ezio Viola
Managing Director, The Innovation Group
Dopo Davos abbiamo visto la conversione anche della business community e delle elite mondiali ai temi della sostenibilità considerati elementi fondamentali del nuovo e prossimo modello di capitalismo degli stakeholder e come evoluzione del tradizionale (e tuttora dominante) capitalismo degli azionisti. In aggiunta, la nuova Commissione Europea ha recentemente presentato il Green New Deal, una delle iniziative strategiche con cui i governi dei paesi europei dovranno confrontarsi e (si spera) anche agire in modo coerente.
Se il rischio climatico si sia fortemente e definitivamente stabilito come una priorità dell’agenda del board delle aziende e dei policy maker lo capiremo dalle azioni concrete, ma sicuramente richiederà una forte leadership dall’alto sia politica che aziendale. Tra i numerosi fattori fondamentali c’è la necessità di dati affidabili sugli sforzi che aziende e governi stanno facendo e l’impatto che possono avere così come è necessaria più chiarezza per accelerare lo sviluppo di nuovi standard per supportare i mercati e i loro investimenti. Oltre le nuove metriche è necessario un approccio più aperto e creativo ai problemi e incominciare a quantificare il costo che potrebbe comportare il non fare nulla per cambiare l’agenda delle priorità aziendali. Se “essere verdi” è “bello” e “buono”, deve essere altrettanto chiaro che comporta costi e difficoltà: infatti cambiare il modo in cui vengono creati o confezionati i prodotti, abbandonare pratiche consolidate da lungo tempo in favore di opzioni eco-friendly, sposare le pratiche di economia circolare, adottare nuove tecnologie per raggiungere target di sostenibilità sono attività che possono comportare alti costi e rischi. La tentazione, si spera solo inizialmente, di fare molto “greenwashing” sarà quasi inevitabile. La sostenibilità deve diventare parte della strategia aziendale ed essere un fattore di trasformazione del business perché migliorare o minimizzare l’impatto negativo sull’ambiente a volte richiede scelte radicali e difficili: ridurre il numero di clienti, invitarli a consumare di meno e spingerli ad utilizzare prodotti a minor impatto ambientale sono azioni contrarie alle attuali logiche economiche. L’unico modo per farlo è attraverso l’innovazione vera che serve per affrontare la sostenibilità in modo personalizzato per ogni azienda senza “copiare ricette” dal passato o da altri settori, sapendo riconoscere che molte soluzioni volte a migliorare l’ambiente possono arrivare dalla conoscenza che può essere prodotta all’esterno dell’organizzazione attraverso collaborazioni con clienti, fornitori o NGO.
Oggi per un’impresa sarebbe impossibile prescindere dall’adozione di comportamenti socialmente responsabili, una situazione a cui hanno contribuito diversi fattori, primo fra tutti la “presa di parola” da parte del consumatore, un fenomeno reso possibile dalle nuove tecnologie, dall’avvento del web 2.0, dalla nascita delle piattaforme social che hanno reso i brand “trasparenti” agli occhi degli utenti. Se, dunque, l’innovazione tecnologica, con lo sviluppo delle piattaforme digitali, ha “imposto” alle aziende di adottare comportamenti sostenibili e socialmente responsabili (pena la perdita di clientela), dall’altro ha anche messo a disposizione una serie di strumenti innovativi in grado di facilitare e agevolare il percorso verso una produzione responsabile e sostenibile.
Senza le tecnologie digitali è difficile per le aziende diminuire l’impronta di carbonio o gli sprechi. Senza capire in profondità la sostenibilità l’energia utilizzata dai computer può essere sprecata. Combinare l’esperienza del digitale e sostenibilità può portare a grandi benefici. In termini pratici ci sono già molti casi d’uso in cui, ad esempio, l’AI può essere utilizzata per migliorare le attuali condizioni ambientali, tra cui l’ottimizzazione dei sistemi di previsioni dei consumi energetici, infrastrutture di carica demand – response per i trasporti, sistemi di pianificazione urbana intelligente, previsioni del tempo accurate, trasparenza e monitoraggio della supply-chain e sourcing sostenibile di materie prime. Tuttavia, perché un’azienda possa beneficiare al massimo di questa opportunità è bene che le pratiche sostenibili si estendano a tutti gli stakeholder della filiera produttiva e a tutte le fasi del ciclo di vita di un prodotto. L’economia circolare richiede, infatti, l’adozione di un approccio sistemico e l’applicazione delle tecnologie 4.0 a tutto il processo produttivo può permettere il ridisegno di prodotti, modelli di business e filiere logistiche in chiave sostenibile.
In modo particolare, l’applicazione degli strumenti tecnologici all’intera supply chain potrebbe creare valore in tre modi:
- Aumentando il tasso di utilizzo dei prodotti e quindi incrementandone l’efficienza.
- Estendendo la vita utile di prodotti.
- Recuperandone a fine ciclo di vita il valore.
A questo proposito, per le aziende diventa necessario innanzitutto ripensare e riprogettare l’intera supply chain attraverso l’implementazione di progettualità e attività in grado di raccogliere i prodotti a fine ciclo di vita, recuperarne il valore e reintrodurli nel mercato. Al riguardo si parla della cosiddetta green supply chain management, espressione con cui si indica un nuovo approccio gestionale volto, appunto, a rendere minimo l’impatto ambientale di un prodotto o di un servizio lungo il suo ciclo di vita. Tale approccio, in virtù della sua natura trasversale, coinvolge non soltanto l’azienda e ciò che si svolge al suo interno ma l’intero ecosistema di relazioni e attori che concorrono, insieme ad essa, alla creazione di valore e opportunità per tutta la società.
Oltre alla supply chain è, inoltre, necessario per le aziende un cambiamento radicale nell’attuale modello di sviluppo economico, promuovendo un passaggio da economie basate sul possesso a economie incentrate sulla fruizione di un servizio. È il cosiddetto fenomeno della “servitization”, processo che si caratterizza per l’offerta di una soluzione integrata prodotto-servizio. L’adozione di modelli basati sulla “servitizzazione” fa sì che il successo delle imprese non sia più determinato dalla massimizzazione del numero di unità produttive vendute ma dal numero di persone che usufruiscono del servizio: in questo modo l’operato aziendale fungerebbe dunque da best practice e permetterebbe l’accantonamento dell’approccio, oggi in larga parte ancora ampiamente utilizzato, del Prendere-Produrre-Buttare in favore di uno volto ad incentivare la progettazione di prodotti dal potenziale infinito utilizzo. I principali esempi di questi cambiamenti in atto, di cui si dovrà incentivare sempre più l’utilizzo, sono le nuove modalità di consumo quali il pay per use e le nuove forme di economia condivisa e collaborativa.
Tecnologie digitali e sostenibilità costituiscono, dunque, un binomio imprescindibile che crea mutue sinergie in diversi campi e cercare il giusto bilanciamento tra le due sarà una delle sfide degli anni 20.
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