N. Giugno 2019
a cura di Carmen Camarca
Analyst, The Innovation Group
In quelli che l’Economist, in un noto articolo del 2017[1], ha definito gli “anni della Data Economy”, il futuro delle aziende (e dei singoli Paesi) dipenderà sempre di più dalla capacità di stringere “alleanze” con l’Intelligenza Artificiale. Che l’Intelligenza Artificiale, considerati i suoi molteplici ambiti di applicabilità, stia diventando una presenza trasversale, quasi ubiqua nell’esperienza umana, è fuori dubbio, ma a fare davvero la differenza saranno le nuove forme di interazione che è in grado di abilitare.
(Fonte: The Economist, 6 Maggio 2017)
Nel Marketing, un’esigenza oggi molto sentita è la creazione e gestione di grandi quantità di contenuti, e contestualmente, un’analisi sulle performance raggiunte dagli stessi e sulle preferenze dei clienti. Le tecnologie di Machine Learning/Deep Learning, ridisegnano le dinamiche aziendali e permettono la creazione di contenuti digitalizzati e interattivi, oltre che la rapida risposta ai bisogni e necessità degli utenti, in altre parole migliorandone le esperienze. A confermarlo è anche la ricerca “La gestione intelligente dei contenuti” realizzata da Forrester Consulting su commissione di THRON e condotta su un campione di oltre 200 grandi imprese europee (principalmente operanti in Inghilterra, Francia, Italia e Germania) con almeno 500 dipendenti e un fatturato di oltre 300 milioni di dollari.
Secondo lo studio, infatti, le soluzioni di Artificial Intelligence applicate alla gestione dei contenuti sono:
- decisive per un’azienda su tre,
- hanno una priorità alta nelle strategie di business per quasi due aziende su tre.
Grazie all’Intelligenza Artificiale si verifica per le aziende:
- + 23% di probabilità di intercettare nuovi clienti,
- + 21% di potenziale aumento della marginalità per ogni singolo utente,
- + 13% di miglioramento sul fatturato complessivo.
Inoltre, per il 36% dei rispondenti grazie all’AI si può accrescere la possibilità di personalizzare l’offerta, oltre che migliorare la customer experience e il customer engagement (40%), con effetti positivi in modo particolare sulle attività di social (58%) e digital marketing (67%).
Tuttavia, le vere difficoltà per i brand sono la comprensione delle preferenze e degli interessi dei clienti (41%), l’aumento dell’engagement (39%) e la produzione di contenuti profilati in real time (32%), ambiti in cui risultano necessarie attività di content intelligence, volte alla gestione intelligente dei contenuti online, resa possibile grazie, appunto, alla capacità dell’Intelligenza Artificiale di distribuire messaggi automatizzati.
(Fonte: Forrester Consulting, Thron, 2019)
Il trend positivo dell’utilizzo dell’AI è confermato anche dalla DBT Survey 2019 di The Innovation Group, secondo cui tra 5 anni raddoppierà quasi la presenza dell’AI nelle strategie di innovazione digitale delle aziende, passando da un’incisività media dell’1,85% (Per niente/Poco) ad una del 3,45% (Abbastanza/Molto). Dal campione emerge, inoltre, che le aziende utilizzano principalmente funzionalità di Machine Learning (73%) e 0.
Chatbot (53%) e che i principali benefici derivanti dell’AI sono il miglioramento della qualità del servizio (59%) e della Customer Experience (48%). In linea con i risultati di Forrester, anche secondo la DBT Survey 2019 di TIG l’AI risulta strategica su una pluralità di ambiti: dall’ottimizzazione del marketing (ambito in cui l’utilizzo dell’AI raggiungerà nei prossimi due anni un aumento del 35%, contro un attuale utilizzo del 9%) al customer service/chatbot/analisi dei clienti (+17%). Tale atteggiamento positivo è confermato anche dal previsto aumento degli investimenti al proposito: la Survey rileva, infatti, che nel 2019 aumenterà sia il numero di aziende che investono nell’AI (che passano dal 66% nel 2018 all’84% nel 2019) sia l’investimento medio in AI che raddoppierà, passando da circa 16mila euro nel 2018 a 30mila nel 2019.
La crescita esponenziale di tali soluzioni pone, tuttavia, una serie di nuovi quesiti da affrontare: fino a che punto conviene automatizzare le attività rivolte al proprio mercato? Quale controllo abbiamo di una soluzione AI? Come verificare che non commetta errori danneggiando la reputazione dell’azienda? E, infine, se l’AI diventa nel tempo effettivamente in grado di rispondere meglio alle esigenze della clientela rispetto a quanto già non faccia un operatore umano, quali ne saranno le conseguenze sul mercato del lavoro? Che approccio bisognerà adottare?
Le risposte arrivano, in parte, dalla Commissaria UE al digitale Maryia Gabriel che di recente ha presentato le linee guida dell’Unione Europea su un’Intelligenza Artificiale “affidabile”. A tal proposito la Commissaria ha dichiarato che l’approccio europeo sarà “human-centric”, con l’uomo al centro di un processo di cambiamento il cui obiettivo è “migliorare l’agire umano e i suoi diritti e non ridurre la sua autonomia”. Lo ha di recente dichiarato anche il Guardian, in un articolo ripreso da Il Sole 24 Ore: le macchine devono integrarsi alla componente umana, non provocarne la totale eliminazione, aspetto che richiede senz’altro nuovi livelli di specializzazione e qualificazione da parte dell’uomo. Sul tema è intervenuta anche Roberta Cocco, Assessore a Trasformazione digitale e servizi civici del Comune di Milano che ha partecipato all’iniziativa, promossa da The Innovation Group, lo scorso 14 marzo durante la Digital Week affermando che l’Artificial Intelligence è frutto dell’intelligenza umana e che sono gli uomini a svilupparne gli algoritmi e a governarla.
[1] The world’s most valuable resource is no longer oil, but data, The Economist, 6 Maggio 2017
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