Dopo Google, Apple e Facebook, ora anche Amazon è entrata nel mirino della Commissione Europea, in particolare per quanto riguarda il presunto utilizzo improprio dei dati dei commercianti che operano sulla propria piattaforma. Il nocciolo del problema sta nel fatto che Amazon stesso commercializza i propri prodotti sulla piattaforma e si tratta quindi di capire se le informazioni che deriva dai propri competitor producano un vantaggio competitivo per l’azienda, e se ciò costituisca un abuso di posizione dominante.
In seguito al successo di Amazon Kindle nel novembre del 2007, il colosso ha infatti iniziato dal 2009 a introdurre sistematicamente sul mercato nuovi prodotti firmati Amazon. Tale processo è avvenuto in maniera sorprendentemente indisturbata e consente oggi alla Big Tech di essere presente sulla propria piattaforma con migliaia di prodotti Amazon provenienti dai 100 e più brand che possiede.
Considerando un recente report di TJI Research, i ricavi da questa attività sono stimati per il 2018 a circa 7,5 miliardi di dollari, in crescita del 900% rispetto al 2016, e ci si aspetta che entro il 2022 la cifra raggiunga 25 miliardi, triplicando così il business entro i prossimi 4 anni. Questo vuol dire che nel revenue mix di Amazon questi prodotti peseranno per circa il 3,7% nel 2018 ed il 7% nel 2022, il che pone una sfida non indifferente ai commercianti esterni che utilizzano la piattaforma per integrare l’e-commerce nel proprio modello di business.
Anche se previsionali, i dati sono significativi e le implicazioni etiche (nonché legali) importanti. Prima dell’e-commerce, fare business sui dati dei clienti costituiva una pratica comune, specialmente a livello di marketing. Ora però le potenzialità derivanti dai dati vanno oltre, consentendo l’abbattimento dei costi, una produzione estremamente segmentata e prezzi più bassi per il consumatore finale, il che però è quantomeno controverso: lo sviluppo di prodotti basati, appunto, sul monopolio di dati che Amazon gestisce rischia infatti di essere un prezzo troppo alto da pagare per le PMI che quindi si ritrovano seriamente in pericolo a causa dell’asimmetria informativa.
Va notato però che in altri Paesi e in business comparabili ad Amazon per dimensione o funzioni, i dati vengono sfruttati in maniera altrettanto intensiva. In Cina per esempio, Alibaba e WeChat, due piattaforme di grande successo in Asia, hanno generato servizi basati sulla mole di dati a loro disposizione in maniera simile a quanto fatto da Amazon. La differenza sostanziale è che questi due gruppi si sono concentrati indistintamente sia sui consumatori che sui produttori presenti nella piattaforma piuttosto che favorire i primi e opporsi ai secondi con la commercializzazione del proprio brand. Tuttavia, anche i servizi delle aziende cinesi non sono esenti da problematiche in quanto, basandosi intensivamente sui dati personali, risultano molte criticità a livello di privacy.
In sostanza, ciò che queste informazioni lasciano presupporre è che l’uso dei dati riduca i margini di rischio imprenditoriale a zero e massimizzi le possibilità di avere successo, dal lato di Amazon con un modello di innovazione che minaccia le PMI in favore dei consumatori, mentre negli altri casi con un modello di innovazione che, pur garantendo una sorta di equilibrio tra consumatori e produttori, minaccia la privacy dei singoli individui. Nonostante sia ancora da capire se Amazon agisca in maniera legale e accettabile agli occhi dei regolatori europei, in via più generale, bisogna interrogarsi sull’esistenza di altri modelli di innovazione che possano bilanciare la creazione di valore tra tutte le parti coinvolte in tali ecosistemi.