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Economia Digitale: Italia al bivio?

N.  Ottobre 2018
        

a cura di Ezio Viola 
Managing Director, The Innovation Group 

 

Il mercato digitale prosegue il trend di crescita positivo osservato negli ultimi due anni. In particolare quest’evoluzione è determinata dalle cosiddette “New Digital Technology” che assumono un ruolo sempre più rilevante nei processi di digital transformation, a scapito dell’IT tradizionale: l’importanza di tablet, smartphone, servizi cloud o di business analytics deriva dall’utilizzo, sempre più massiccio, dei dati nelle attività produttive. I dati, infatti, rappresentano la “tecnologia” migliore per intercettare le preferenze dei consumatori: sono in grado di ridurre l’incertezza che da sempre ha caratterizzato le transazioni nel mercato economico, rendendo, così, obsoleto il tradizionale concetto di mercato; inoltre, possono determinare un significativo miglioramento dei servizi, sia pubblici che privati. Tuttavia, misurare l’impatto dei dati non è semplice, soprattutto in Italia, dove si riscontra la mancanza di una strategia nazionale volta a creare una vera e propria economia digitale. In questo contesto risulta, dunque, necessaria la definizione di un ecosistema dei dati basato sull’open innovation che possa produrre benefici per i diversi stakeholder: dai cittadini, alle imprese alla pubblica amministrazione.

Di questi temi e delle loro implicazioni si è ampiamente discusso durante la terza riunione dell’Advisory Board di Digital Italy 2018, promosso da The Innovation Group lo scorso 17 settembre, e al quale hanno presenziato esponenti del mondo accademico, dell’imprenditoria e della Pubblica Amministrazione. Durante l’evento è, inoltre, emersa la necessità di identificare degli attori pivot, figure chiave che, individuando per primi le opportunità offerte dal digitale, possano sviluppare iniziative concrete, così da fungere da driver per l’intero mercato. La necessità di una leadership che promuova percorsi digitali è fondamentale per attivare cambiamenti radicali sia nel settore pubblico che in quello privato, specialmente se si considera che il sistema economico italiano è caratterizzato da un forte divario in termini di dotazione di competenze e di risorse economiche tra grandi aziende e PMI. Queste ultime, rappresentando una parte rilevante della realtà imprenditoriale italiana, dovranno necessariamente essere coinvolte nella transizione digitale: soltanto in questo modo, il Paese potrà considerarsi digitalmente maturo.

Questo aspetto è strettamente correlato con la questione delle competenze che comporta la mancanza di personale adeguato a svolgere le “nuove” professioni richieste dalla trasformazione digitale. Si pensi, ad esempio, che stando al rapporto ISTAT del 2016 sulle tecnologie dell’informazione e della comunicazione nelle imprese, solo il 32,04% delle aziende in Italia impiega addetti specializzati nell’ICT. Inoltre, il fatto che il 32,3% di coloro che hanno provato ad assumere specialisti in questo campo dichiari di aver avuto delle difficoltà a coprire posti vacanti, indica che vi sia un vero problema a livello di formazione, un aspetto ribadito più volte durante l’incontro. In via più generale, si è anche discusso della necessità dell’affermazione di una nuova imprenditorialità e di una nuova amministrazione pubblica dotate di una forte cultura digitale.

A tal proposito, è nuovamente riemerso il tema dell’interazione tra pubblico e privato, un problema che contraddistingue il sistema italiano e che deve essere risolto attraverso la creazione di interconnessioni e relazioni tra i diversi attori. In particolare, è stato enfatizzato il ruolo che le partnership pubblico-private basate sul triangolo imprese-PA-Università possono avere: la creazione di progetti in questo senso costituirebbe la vetrina del potenziale del digitale, stimolando iniziative di altro genere, contribuendo a formare una cultura digitale e costruendo quel circolo virtuoso che potrebbe accelerare la transizione digitale nel Paese.

I rischi di rimanere indietro nel panorama internazionale sono infatti concreti, specialmente considerando che per sfruttare al meglio i vantaggi dell’innovazione, è necessario essere dei “first mover”. Ad oggi, i problemi sistemici sottolineati nel corso dei lavori, accompagnati dalle soluzioni proposte nell’evento, indicano che la transizione digitale in Italia ha risvolti ancora incerti. Da una parte è emblematico il fatto che il Paese si colloca al quart’ultimo posto nell’UE per quanto riguarda l’indice DESI che misura il grado di sviluppo del digitale nell’economia e nella società, dall’altro, le numerose esperienze di successo concernenti la trasformazione digitale, sia emerse all’interno dell’Advisory Board che sempre più riscontrabili nel panorama Italiano, rappresentano motivo di speranza e fiducia per il futuro prossimo.

Un aspetto ulteriore che ci deve suggerire riflessioni e azioni nel muoversi nella direzioni di innovare è anche che la Francia, promuovendo un forte piano di diffusione delle tecnologie digitali per la produzione industriale, potrebbe superare l’Italia in termini di capacità manifatturiera e innovazione di prodotti e servizi a valore, anche se oggi ci vede ancora come il secondo Paese industriale dopo la Germania in Europa: il tema della adozione delle tecnologie e dell’innovazione nelle imprese e nel Paese e della necessità di affrontare con una strategia di sviluppo  e con tutti i necessari strumenti è quindi di assoluta priorità per la classe dirigente e politica del nostro Paese.

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