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Dalla Data Economy al caso di Cambridge Analityca, il futuro passa per i dati

N.  Aprile 2018
             

a cura di Ezio Viola, Managing Director
Camilla Bellini, Senior Analyst
The Innovation Group

 

Qualche settimana fa a Milano abbiamo organizzato un evento per discutere con le imprese italiane del ruolo dei dati in azienda, dall’efficientamento dei processi al miglioramento dei prodotti, fino alla nascita di vere e proprie revenue stream data- driven. Rispetto agli incontri di qualche anno fa è evidente come oggi la “tecnologia del dato” e le best practice (anche italiane) siano maturate e abbiano ampliato il proprio raggio e il proprio scopo: oggi i team dedicati per l’analisi avanzata dei dati cominciano ad essere presenti anche nelle nostre grandi aziende, basti pensare a Generali, a Pirelli o a Tenaris, per citare le aziende che sono recentemente intervenute ai nostri incontri sul tema; così come cominciano a consolidarsi sempre più realtà nate data-driven, che ad esempio Lastminute.com, che fanno proprio della capacità di monetizzazione del dato la loro fonte di crescita.

Si comincia poi a vedere qualche germoglio di concretezza anche nei progetti nell’ambito dell’intelligenza artificiale, un cappello generale sotto il quale oggi si raccolgono soluzioni e prodotti dei grandi vendor internazionali così come competenze nello sviluppo di algoritmi avanzati di machine learning. In questo senso, cominciamo a comparire team di data scientist e di “esperti del dato” che cominciano a dare vita all’interno delle aziende di PoC ed esperienze di valorizzazione dei cosiddetti big data in azienda. Tema quello dell’intelligenza artificiale che avremo d’altra parte occasione di approfondire maggiormente il prossimo 5 luglio in occasione di un incontro dedicato – l’AI Tech Conference – che stiamo organizzando a Milano.

Alla luce certo rassicurante di queste best practice e di questi lampi di innovazione digitale all’interno delle aziende, non si può trascurare il fatto che, come emerge dagli ultimi dati resi disponibili dall’Istat rispetto all’utilizzo delle aziende italiane dei big data: secondo l’Istat infatti nel 2016 solo il 9% delle aziende italiane con 10 o più addetti hanno dichiarato di stare analizzando i propri big data, percentuale che arriva al 30% se si considerano le imprese sopra i 250 addetti e a circa l’8% per le sole piccole imprese, con un numero di dipendenti compreso tra 10 e 50. Inoltre, sempre dalla rilevazione Istat emerge come i settori che stanno utilizzando maggiormente i big data sono, oltre al settore stesso dell’ICT, le Utilities e tutto il mondo dei servizi professionali; al contrario, la manifattura e il settore delle costruzioni paiono essere i settori più in ritardo, con solo il 7% e il 5,5% di imprese che dichiarano di starli utilizzando, rispettivamente.

Questi risultati d’altra parte devono essere considerati e proiettati ai giorni nostri anche alla luce di quanto è accaduto negli ultimi due anni nel settore ICT: basti pensare da un lato alla spinta, seppur ancora contenuta negli effetti diretti sulla componente ICT, del Piano Industria 4.0, che ha indubbiamente smarcato il termine “big data” anche nei settori più in ritardo; dall’altro la ripresa del mercato ICT più in generale, che dopo lo stallo degli anni della crisi sembra tornare a dare segnali positivi. Questi elementi nel complesso sanciscono una traiettoria positiva della domanda verso gli investimenti nelle tecnologie innovative, che indubbiamente si tradurranno in un trend al rialzo per la diffusione di queste tecnologie nei prossimi anni.

D’altra parte, segnali positivi vengono anche dalla nostra recente survey sui trend di diffusione della tecnologia e di progettualità digitale all’interno di un campione di 113 imprese italiane, per lo più di medie- grandi dimensioni: il 36% degli intervistati ha infatti dichiarato di stare investendo maggiormente in tecnologia big data e analytics, percentuale superata solo dai rispondenti (il 42%) che hanno dichiarato di stare investendo nell’ambito della customer engagement. Inoltre, sempre dal nostro studio emerge come, per quanto riguarda gli strumenti di analisi dati utilizzati in azienda, benché siano ancora diffusi strumenti “di base” come i fogli elettronici, la maggioranza delle aziende (55%) si è già dotata di piattaforme e di strumenti di business intelligence per valorizzare i dati in azienda, con un 13% che sta già utilizzando strumenti avanzati di business analytics.

Nel complesso dunque quello che sta emergendo è un quadro che si sta spostando, certo con i suoi tempi e con la necessità di qualche spinta, verso una maggiore valorizzazione dei propri dati, nella logica di strutturare sempre più imprese e attività in una logica data-driven; più lontano e complesso è l’obiettivo di sviluppare una vera e propria Data Economy, per cui imprese, organizzazioni e cittadini scambiano in una logica economica regolamentata dati e informazioni. A questo riguardo, sicuramente l’episodio di cambridge analytica, ma come d’altra parte la stessa entrata in vigore della GDPR a fine maggio, ha favorito la presa di coscienza degli utenti, ma anche delle imprese, del ruolo e del valore che i proprio dati possono avere, così come, nel caso delle imprese, del potenziale impatto che l’utilizzo corretto o meno di questi dati può avere per il business stesso.

La strada verso quella che, forse in modo un po’ roboante, viene definita Data Economy è ancora lunga, ma qualche passo è stato fatto: sicuramente è un tema su cui occorrerà interrogarsi, a tutti i livelli di governo, dal pubblico al privato, per definire una strategia e una buona norma condivida che permetta a tutti di trarre vantaggio dal potenziale informativo che le tecnologie digitali stanno offrendo.

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