Abbiamo intervistato Aldo Fumagalli, Presidente del Gruppo Candy, in merito alle trasformazioni che l’Internet of Things e le tecnologie digitali hanno portato nel settore degli elettrodomestici, ai cambiamenti che sono stati introdotti di conseguenza in azienda e delle sfide che è stato necessario affrontare per sfruttare appieno il potenziale degli Smart Product.
Da dove nasce l’interesse per le tecnologie Internet of Things all’interno del Gruppo Candy? Quando avete deciso di trasformare i vostri prodotti in Smart Product?
In passato, il nostro settore si è già occupato di questo tema in due diverse circostanze. La prima risale agli anni ’80, quando è nata l’elettronica per gli elettrodomestici, con il controllo motori e l’introduzione del timer digitale. In questa circostanza, tutti i produttori di elettrodomestici si sono interrogati su come sfruttare la sensoristica avanzata che cominciava ad essere inserita nei prodotti: si è verificata una sorta di rincorsa ad un sogno di “rivoluzione dell’elettrodomestico”, che d’altro canto non si è concretizzato. In realtà, ciò che è accaduto è stato il rimpiazzo dei timer all’interno dei dispositivi con schedine a basso costo, mentre il resto dell’elettrodomestico non è cambiato molto: la resistenza elettrica è rimasta identica, così come il pressostato e gli organi di controllo. In questo caso, non si è assistito ad una rivoluzione epocale all’interno del settore: al contrario, se volete, fu una prima e cocente delusione.
La seconda enorme delusione ci fu alla fine degli anni ‘90, quando esplose il fenomeno della domotica. Allora si diceva “dobbiamo mettere online questi apparecchi”: era la generazione degli elettrodomestici cosiddetti internet-ready, le lavatrici internet-ready, i forni internet-ready, etc… In questo caso, benché le nuove componenti di elettronica venissero effettivamente inserite all’interno degli elettrodomestici, alla fine le lavatrici in grado di collegarsi ad internet non furono implementate, o meglio qualche migliaio di pezzi fu messo sul mercato, ma non venne venduto. Al consumatore infatti non interessavano: banalmente, avevamo creato l’offerta ma non c’era domanda. In questa circostanza, le aziende hanno speso una fortuna, soprattutto in termini di capitale umano, avendo assunto un gran numero di esperti del software. Questo è accaduto in tutto il mondo, con la sola eccezione della Corea del Sud: è infatti l’unico paese dove le applicazioni di domotica si sono sviluppate in modo significativo, sia grazie ai forti incentivi messi a disposizione dal governo, sia per l’effettiva esistenza di una domanda sensibile al tema.
A fronte di queste due cocenti delusioni, abbiamo deciso di rispolverare questo approccio nel momento in cui abbiamo capito che gli smartphone potevano finalmente abilitare con successo i cosiddetti Smart Product. I device mobili sono stati visti infatti come il tramite per sviluppare funzionalità che prima non eravamo in grado di rendere effettive: gli smartphone sono diventati i mediatori ideali, sempre a portata di mano e connessi, di molti progetti, come ad esempio quelli relativi al controllo da remoto degli elettrodomestici. Inoltre, un altro enabler della Smart Home (o meglio, a questo punto, della domotica 2.0) è stata la presenza nelle case della rete WiFi in modo sempre più pervasivo. Quando si è prospettato che la diffusione e l’utilizzo di smartphone e WiFi tra i consumatori avrebbe superato il 50%, quello è stato il momento in cui abbiamo deciso di investire seriamente nelle tecnologie IoT all’interno dei nostri prodotti.
Avete quindi colto il momento in cui si è consolidata una base solida di domanda potenziale per gli smart product in ambito domestico… A questo riguardo, come definireste oggi la domanda di elettrodomestici smart?
Come ho già accennato, nel momento in cui abbiamo rilevato che la penetrazione di smartphone e WiFi aveva raggiunto il 50% dei consumatori, abbiamo commissionato degli studi che meglio analizzassero e testassero la domanda di Smart Product in tutti i nostri principali mercati. In questo senso, la prima ricerca di mercato significativa è stata condotta quattro anni fa, quando abbiamo organizzato una rilevazione abbastanza vasta sui consumatori italiani, francesi, inglesi e russi, con un approfondimento sul mercato cinese.
In buona sostanza, quello che abbiamo fatto è stato chiedere quali fossero le applicazioni che li interessassero, in modo da poter individuare una quarantina di applicazioni “intelligenti” da mettere a disposizione del nostro R&D. In questo senso, un esempio concreto riguardava la possibilità che le lavatrici leggessero dai siti dei comuni di riferimento il livello di durezza dell’acqua e impostassero il decalcificatore in funzione di tale dato. In particolare, quello che abbiamo scoperto è che, in un contesto in cui le potenziali applicazioni della tecnologia IoT sono veramente tante, ciò che di per sé ha un valore rimane la possibilità di creare un contatto da remoto con l’elettrodomestico. Sicuramente questo risultato è legato soprattutto ad aspetti piscologici, non razionali della persona, ma ci ha indicato la direzione in cui dovevamo andare. Inoltre, ci siamo resi conto che questa volta la domanda per questo tipo di prodotti esisteva anche in Europa, ma che, a differenza di quello che si può pensare, i consumatori non erano disposti a pagare un mark up consistente per le funzionalità aggiuntive abilitate dall’IoT. Questo risultato ha condizionato di conseguenza anche il nostro approccio alla tecnologia: ciò di cui avevamo bisogno erano economie di scala e costi contenuti, altrimenti il modello non avrebbe funzionato, non sarebbe stato sostenibile. A fronte di questi risultati, tre anni fa è partito il progetto, che indubbiamente ha portato noi e i nostri clienti ad essere soddisfatti del percorso intrapreso. Sicuramente poi molto ha anche fatto l’usabilità e la “simpatia” dell’applicazione mobile che abbiamo reso disponibile per interagire con i nostri elettrodomestici (Candy Simply-Fi, ndr), così come la strategia di marketing che ci ha accompagnato nella loro commercializzazione.
Da quello che ha appena detto, emerge come le dinamiche costi-ricavi e la capacità di creare un equilibrio tra investimenti e prezzo finale del prodotto siano un fattore imprescindibile per la trasformazione di un prodotto in smart product. A fronte di ciò, come sono cambiati i vostri elettrodomestici? Quali sono gli investimenti che avete dovuto affrontare?
Devo dire che, da un punto di vista di prodotto e di elettronica di bordo, l’impatto del progetto non è stato particolarmente rilevante, anche a fronte degli investimenti già fatti anni addietro con i primi esperimenti di domotica. In particolare, la tecnologia WiFi ci ha permesso di portare online i nostri prodotti con un costo contenuto. Per i prossimi anni, d’altro canto, soprattutto a fronte di una nuovo progetto che verrà lanciato sul mercato l’anno prossimo, dovremo affrontare altri investimenti: abbiamo infatti deciso di ricorrere alla tecnologia NFC per fare un passo avanti nel modo in cui dialoghiamo – e consentiamo ai nostri clienti di dialogare – con i nostri prodotti. A partire da metà dell’anno prossimo, tutte le lavatrici che produrremo avranno questa tecnologia a bordo, diventando di serie. La tecnologia NFC ci consente infatti di sviluppare servizi di diagnostica avanzata, di incrementare il numero dei programmi di lavaggio a disposizione (teoricamente infiniti) e di migliorare le componenti di analisi statistica e di gestione energetica degli elettrodomestici. In sostanza, la tecnologia NFC ci consente di utilizzare gli smartphone, o comunque altri device mobili, per amplificare le potenzialità della nostra lavatrice, e più in generale i nostri elettrodomestici.
Parliamo quindi di prodotti non solo connessi in rete, ma anche in grado di dialogare grazie alla tecnologia NFC: questo significa tanti progetti e tecnologie diverse. Chi sono gli attori che avete coinvolto? Avete utilizzato vostre risorse interne o siete ricorsi a collaborazioni esterne?
Per quel che riguarda il progetto di connessione degli elettrodomestici ad Internet, ovvero quello che chiamiamo simplify- WiFi, la principale criticità ha riguardato la necessità di trovare un costruttore di componentistica che credesse nel nostro progetto, che in qualche modo ci seguisse e rendesse compatibile l’elettronica dei nostri prodotti con i protocolli esistenti; sulla base di ciò, abbiamo sviluppato praticamente tutto ricorrendo a risorse interne già esistenti. Ovviamente, abbiamo dovuto ricorrere ad un’agenzia per quello che riguarda lo sviluppo dell’applicazione mobile, dal momento che non avevamo una expertise interna in questo ambito. Per quel che riguarda invece il progetto NFC,dal momento che era necessario ripensare radicalmente l’elettronica, è stata intrapresa una collaborazione con il CEFRIEL, che ci ha messo a disposizione tutta una serie di enabler che ci permettessero di raggiungere i desiderata del progetto. Finora, benché i nuovi elettrodomestici non siano ancora stati commercializzati, i risultati del progetto paiono ottimi.
Cambia la tecnologia e cambiano i prodotti. A fronte di questo, anche la vostra azienda è cambiata? Come sono evolute la sua struttura e l’organizzazione interna?
Onestamente, gli aspetti organizzativi sono stati la sfida più grande. Devo però anche dire che forse è stata la sfida a cui abbiamo risposto nel modo migliore. Fin dall’inizio, quando abbiamo cominciato a pensare in ottica di Smart Product e domotica 2.0, sapevamo che, essendo organizzati per Business Unit separate, questa sarebbe diventata una criticità per la buona riuscita del progetto. Era evidente infatti che nessuna Business Unit sarebbe stata disposta a portare avanti un progetto condiviso, “di piattaforma”: ognuno aveva in mente i propri processi e le proprie tecnologie e avrebbe cercato di imporre la propria visione a tutto il progetto. A questo punto, abbiamo dovuto rimboccarci le mani e creare un’organizzazione trasversale – che abbiamo chiamato Connected Unit– raccogliendo al suo interno expertise nell’ambito del marketing, dell’ elettronica e CRM. Parallelamente, abbiamo tagliato i budget di ricerca e sviluppo dalle singole Business Unit e li abbiamo fatti convergere nella nuova unità. Senza questa decisione non saremmo mai stati in grado, ad esempio, di creare un’app in grado di interagire con tutti i nostri prodotti in modo intelligente. In questo senso, la fortuna è stata capire questo subito e trovare una soluzione fin dall’inizio. C’è da dire che abbiamo anche avuto il vantaggio di avere a capo della nuova unità un manager molto bravo, con un’esperienza pregressa in ambito domotico, proprio in Corea. Grazie a lui siamo riusciti a trasmettere anche al nostro interno il concetto di ecosistema, che ci ha permesso di portare a termine con successo la trasformazione della struttura aziendale.
Un’ultima domanda: lei spesso fa riferimento in modo particolare alle lavatrici… e gli altri elettrodomestici?
Sicuramente il nostro business, soprattutto in termini di numeri, si basa molto sul lavaggio e sulle lavatrici. Tenga presente che, per motivi di scala, molto spesso usiamo questi elettrodomestici come banco di prova per nuovi progetti e innovazioni. In realtà, poi, i grandi vantaggi che otteniamo nell’ambito IoT sono attribuibili soprattutto ad ecosistemi all’interno della casa, come ad esempio la cucina, perché è dagli ecosistemi che si genera il vero valore.
A cura di: Camilla Bellini, @camilla_bellini