A cura di Ezio Viola, Managing Director, The Innovation Group
Da quando Vivendi ha iniziato la scalata a Mediaset molti, tra cui politici ed esponenti del governo, hanno riscoperto gli “asset strategici nazionali” che devono essere difesi dall’assalto degli stranieri, i francesi in questo caso, ponendo quindi il problema se anche Mediaset sia un asset strategico per il Paese.
E’ importante perciò riflettere e capire dove stia andando l’industria dei media. Un primo fatto è che questa industria procede al galoppo verso una maggiore integrazione e fusione tra TLC e media (ATT e Time Warner nel 2016 è stata la più grande), cioè tra chi fornisce connessioni e chi fa contenuti, per evitare di essere schiacciati dai grandi di internet.
La strada della convergenza tra operatori telefonici e Tv è andata avanti a livello mondiale.
In Usa, Regno Unito e Spagna il 100% dei consumatori di servizi Pay-TV, sono abbonati ad operatori che praticano il cosiddetto triple o quad-play con offerte integrate. In UK l’ingresso di BT nella pay-tv è stato la naturale risposta all’ingresso di Sky nel mercato delle TLC. In Spagna, dopo l’acquisizione da parte di Telefonica di Digital + e l’acquisizione di Ono da parte di Vodafone, l’intero mercato della pay-Tv è in mano a operatori di TLC. Anche la recente offerta, per più di 12 Miliardi di euro fatta da Murdoch per il controllo di Sky UK, è il segno della necessità di affrontare la concorrenza di Netflix, Amazon e degli altri giganti della rete nella diffusione dei contenuti multi-piattaforma.
Non sappiamo se esiste un disegno e un progetto industriale legato alla scalata di Vivendi, che ruolo possa avere TIM, quali siano le reali motivazioni e come finirà: le analisi e i commenti però mostrano la carenza di una riflessione sul futuro del settore dei media tradizionali, i cui margini si stanno paurosamente riducendo in favore delle aziende “native digitali” e sul riflesso che tutto ciò possa avere anche su una strategia di sviluppo a livello Paese. I quattro giganti di internet chiamati FAAN (Facebook, Amazon, Alphabet e Netflix) hanno generato quasi 1,7 volte il ritorno sul capitale delle altre 82 media companies e creato un valore equivalente in termini assoluti, così come superiori sono state le performance azionarie. Netflix esemplifica bene il modello dei servizi offerti dagli Over The Top (OTT) che portano i contenuti direttamente al consumatore by-passando broadcaster e cable operator. Tutte e 4 le aziende sono “piattaforme digitali globali” che rendono il settore dei media non più solo un business regionale e nazionale.
Alcuni dei principali driver della trasformazione radicale che ridefiniscono il modo in cui si crea valore nel settore dei media sono:
- Mobile, social e video: cambia il modo in cui i contenuti sono creati, curati, distribuiti e consumati. Una survey del Reuters Institute in 26 paesi riporta che il 51% dei consumatori utilizza i social media come sorgente per le news e il 12 % afferma che è la principale. Si sta assistendo ad uno spostamento generazionale anche dei più giovani su nuove piattaforme come Snapchat. Uno dei fattori che crea grande audience per i media tradizionali, ma a costi sempre più alti, sono i grandi eventi live (Olimpiadi, Football League etc.) : non è escluso che in futuro i loro diritti possano essere preda dei “giganti di internet” che hanno molta cassa da utilizzare;
- “Personalizzazione”: la parola d’ordine che caratterizza i media OTT.
Il motivo sta nel fatto che sono estremamente sofisticati nel ritagliare per i singoli individui profilati advertising, marketing e contenuti. L’utilizzo di data analytics permette di disegnare e influenzare la programmazione, le playlist, le raccomandazioni ai consumatori e in futuro sarà possibile anche contestualizzarle secondo le emozioni delle espressioni facciali catturate nei device di accesso.
Il settore dei media tradizionali deve essere quindi ripensato e ridisegnato perché rischia la “disruption” da parte dei nuovi player: ha bisogno di una rivoluzione di prodotto e di modello di business. In Italia, sul mercato tradizionale, solo due gruppi editoriali negli ultimi cinque anni hanno prodotto utili, Cairo e l’Espresso; mentre sul mercato pubblicitario online, che vale 2.3 miliardi, il 68% degli investimenti si concentra su Google e Facebook. Se si delinea un pericolo di oligopolio, per spezzarlo bisogna unire le forze e creare innovazione: in particolare, senza un cambio rapido del modello di creazione e distribuzione di contenuti, la televisione, in questo contesto, è destinata a una lenta decadenza.
Nell’era delle piattaforme digitali la qualità dei contenuti rimane importante ma non è sufficiente. L’intera catena del valore è critica sia la parte relativa alla produzione editoriale che per quella legata al business commerciale. Molte Media Company hanno iniziato a digitalizzare parti della loro catena del valore ma poche in modo integrato ed end-to-end. Non basta basarsi sui vantaggi di scala e di relazione con i clienti per rimanere rilevanti, si devono perseguire strategie di crescita organica in mercati adiacenti. Sempre di più però, per cambiare velocemente traiettorie di crescita e portafolio di business, servono strategie di di Mergers and Acquisition (M&A) e di partnership per integrarsi in ecosistemi di innovazione più ampi ed aperti all’esterno del settore.
Lo scenario e il contesto sono quindi qualcosa di “leggermente” più complesso di quello che viene dipinto dal dibattito sul caso Vivendi-Mediaset. La dimensione pubblica che dovrebbe interessare il governo e la politica non è tanto e solo la bandiera che sventola sulle TV, ma la visione industriale dei contendenti. Senza considerare il contesto politico in cui si svolge la vicenda, è comunque un po’ singolare assistere a una quasi mobilitazione in difesa di Mediaset contrariamente al silenzio di quando Vivendi diventò il primo azionista di TIM, di quando recentemente Unicredit ha ceduto Pioneer, così come di quando il Governo cinese comprò di fatto il 35% di Cdp Reti entrando così in due settori vitali delle infrastrutture critiche come energia elettrica e gas.
Poiché in Italia, media e telecomunicazioni corrono ancora su binari separati la mossa di Vivendi potrebbe essere il preludio di una stagione di M&A e alleanze anche nel nostro Paese. Questo è inevitabile che prima o poi avvenga, che si tratti di Vivendi o di qualcun altro. Sarebbe però meglio ed auspicabile che il processo fosse guidato da una prospettiva strategica disegnata da Mediaset stessa che finora è mancata.
Mediaset è un’impresa in un settore maturo ma senza esserne leader ed anche alcune iniziative, come quella di comprare i diritti televisivi del calcio, si stanno rivelando deboli e poco lungimiranti a maggior ragione in un contesto nel quale esiste una certa disaffezione da parte del pubblico.
Forse non sarà necessariamente Vivendi, l’impresa che può dare uno “scossone” ad un’azienda come Mediaset, inoltre alle prese con una complessa transizione generazionale oltre che industriale e strategica: di sicuro la politica e il governo non dovrebbero entrare in gioco, invece un ruolo strategico dovrebbero giocarlo il coraggio e la visione degli azionisti e del management, il prossimo piano industriale che sarà presentato a Londra sarà la cartina di tornasole.
Nelle considerazioni precedenti non si è considerata la RAI in quanto per le sue caratteristiche, non riteniamo faccia parte del sistema competitivo italiano del settore dei media…
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