Il 30 aprile 1986 per la prima volta l’Italia si collega in Rete e comunica, grazie a Arpanet (una rete di computer realizzata dal Dipartimento della Difesa degli Stati Uniti), con dei ricercatori d’oltreoceano, a Roaring Creek, in Pennsylvania. Questo succedeva 30 anni fa e il segnale partiva da Pisa, dallo CNUCE, il Centro Nazionale Universitario di Calcolo Elettronico. L’evento allora non suscitò particolare interesse tra l’opinione pubblica e i cittadini; o meglio, non suscitò tutto l’interesse che sembra suscitare oggi il trentesimo anniversario di quello stesso evento.
Forse molta della visibilità che viene data a questa ricorrenza è da attribuire al ruolo che oggi Internet e la connettività svolgono nella vita, pubblica e privata, di tutti noi: la possibilità di comunicare e condividere documenti, immagini e pensieri è oggi infatti qualcosa di scontato, inevitabile, imprescindibile. Certo è che in queste celebrazioni passano però in secondo piano tutti ritardi e i “treni persi” che l’Italia ha accumulato dopo quel 30 aprile di trent’anni fa: non va infatti dimenticato che, benchè allora l’Italia si sia dimostrata all'”avanguardia” e pronta ad abbracciare l'”innovazione”, da allora molte delle scelte (o delle non- scelte) hanno portato il nostro Paese nelle posizioni più basse di molte graduatorie europee e internazionali sullo stato dell’innovazione e del digitale. Non è una novità il fatto che la banda larga e ultra-larga in Italia siano una criticità, più che in tanti altri Paesi dell’Unione Europea; è ormai noto che abbiamo ancora una significativa percentuale della popolazione che non ha accesso (o non accede) ad Internet; al contempo, tutto il tema dei servizi pubblici digitali (e della PA digitale) è ancora un libro da scrivere.
Se dunque il percorso intrapreso dal nostro Paese a partire dal 1986 è stato tutt’altro che lineare (e ricco di ombre più che di luci), perchè festeggiare oggi questa ricorrenza? L’impressione è che oggi la necessità di prendere seriamente la sfida del digitale lanciata trent’anni fa nel nostro Paese sia ormai un dato di fatto: c’è forse il timore che a breve entreremo in una fase della storia in cui o si è “connessi” o non si è; forse non si vuole più fare brutta figura di fronte a tanti altri Paesi che, almeno nei numeri, sembrano un pochino meglio di noi; o forse perchè individui e cittadini sono ormai esasperati dallo status quo… Se così stanno le cose, allora forse questo trentesimo compleanno potrebbe speranzosamente trasformarsi in una “nascita” di una nuova strategia, in grado di trasformare una buona volta il nostro paese in un paese digitale (e forse anche un po’ civile…).
di Camilla Bellini, Senior Analyst