PARLIAMO DEL SISTEMA BANCARIO ITALIANO
Parliamo del sistema bancario italiano

Franco ViglianoA cura di Franco Vigliano, Associate Consultant, The Innovation Group

Le banche italiane in questi giorni sono nell’occhio del ciclone. Oggi la loro solidità finanziaria è messa in discussione; sono entrate in vigore le nuove leggi europee di “bail in” sul salvataggio di quelle in crisi; si sono moltiplicate le polemiche, tutte italiane, sulla loro applicazione; siamo in presenza di rally borsistici, cui tutte sono state sottoposte, anche a causa della volatilità delle crisi internazionali, dalla Cina al petrolio. Tutto ciò ha concorso a complicare uno scenario già complesso.

Ma come è nato il sistema bancario italiano? E’ vero, come si sostiene da più parti, che il sistema è solido? Da dove vengono allora tutti i problemi di questi giorni? Quali le cause del loro inasprimento, all’inizio di un anno che già si prospetta difficile?

Un po’ di storia

Senza andare al 1472, anno di fondazione del Monte dei Paschi di Siena, una delle banche oggi al centro della maggiore turbolenza, solo venticinque anni fa, quando ancora non era iniziato il primo grande processo di concentrazione degli Istituti di Credito, il panorama era molto variegato:

  • Tre BIN (Banche di Interesse Nazionale), ossia Credito Italiano, Banca Commerciale Italiana e Banca Nazionale del Lavoro;
  • Un certo numero di banche private, a volte legate a determinati settori della Società italiana, ad esempio le banche cattoliche o quelle di categoria;
  • Le Casse di Risparmio, che a statuto dovevano devolvere i loro utili in beneficenza, attraverso le Fondazioni;
  • Le Banche Popolari, con un proprio statuto che prevedeva una rappresentatività diffusa;
  • Infine le Banche di Credito Cooperativo (BCC), di medio-piccole dimensioni e molto legate al territorio in cui operavano.

Si trattava di un mercato protetto, con una esigua presenza di concorrenza straniera, attentamente vigilato e diretto da Banca d’Italia: erano i tempi in cui i Governatori della BdI erano personaggi indiscussi come Carlo Azeglio Ciampi o Antonio Fazio.

Oggi il panorama è cambiato: il libero mercato è entrato nelle banche, molte sono quotate in borsa, o presto dovranno farlo, e l’azionariato è diffuso, benché la governance sia, a volte, ancora in mano a ristretti patti di sindacato.

Gli enti di controllo non sono più solo a livello nazionale. Ci sono organismi a livello europeo e mondiale, che hanno moltiplicato gli interventi di indirizzo, le proposte legislative, ed in alcuni casi anche interventi ispettivi in prima persona. E’ del 1988 il primo accordo di Basilea, cui seguirono Basilea II in vigore dal 2008, con l’individuazione dei tre pilastri che dovevano reggere il sistema creditizio: requisiti patrimoniali, controllo prudenziale e disciplina di mercato. E quindi Basilea III, nel 2010, insieme di nuove regole relative alla vigilanza bancaria, pubblicate in risposta alla recente crisi finanziaria di quegli anni, e che finalmente conteneva precise indicazioni anche per le scelte da operare nei Sistemi Informatici.

La Banca Europeo poi, soprattutto con l’avvento di Mario Draghi, è diventata molto più protagonista sia nell’economia reale che nel settore bancario, con il Quantitative Easing ad esempio, ma anche con le recenti proposte di una unione bancaria sempre più stretta, ora che quella politica e forse economica (Schengen e la libera circolazione di persone, merci ed idee) sembra vacillare.

Anche le banche sono cambiate, e non solo nei nomi. Ci sono stati:

  • I consolidamenti e le grandi fusioni della fine degli anni ‘90, che hanno dato luogo a banche in grado di competere a livello europeo e mondiale: Unicredit, Intesa Sanpaolo, UBI Banca, Banco Popolare;
  • L’ingresso delle banche estere in Italia, con filiali dirette (ad esempio Deutsche Bank; Santander; ING Bank) o con acquisizioni di filiali di banche italiane (Crédit Agricole con Cassa di Risparmio di Parma e Piacenza; BNP Paribas con BNL). Fenomeno tanto temuto quanto, di fatto, contenuto nelle dimensioni.
  • La riforma delle Casse di Risparmio, del 1990 (la cosiddetta legge Amato), per cui le Casse sono diventate società commerciali private, disciplinate dal Codice Civile e dalle norme in materia bancaria, e sono nate le Fondazioni, che hanno ereditato gli asset e la vocazione alla beneficenza;
  • Recentemente, la riforma delle Banche Popolari, del 25 gennaio 2015, per cui è profondamente cambiata la composizione azionaria e di governance, con l’obbligo di trasformazione in società per azioni se si superava la soglia degli 8 miliardi di euro di attivo;
  • La prossima riforma delle BCC, con la quale il Governo italiano vorrebbe mettere al sicuro queste piccole banche fortemente radicate nel territorio, quindi molto utili alla piccola e media impresa, ma al tempo stesso così fragili per le loro dimensioni. Il modello potrebbe essere quello francese di un unico grande gruppo bancario, come il Crédit Agricole.

Il cambiamento nelle banche è andato di pari passo con l’evoluzione dei loro Sistemi Informativi, forse non dal punto di vista organizzativo, ma certamente dal punto di vista tecnologico!

Il modello organizzativo infatti è rimasto in gran parte lo stesso: i Sistemi Informativi sono in generale interni alla struttura della banca, un po’ perché ritenuti strategici per lo sviluppo del business, un po’ perché si preferisce tenerli sotto stretto controllo da parte del management. Pochi hanno affidato i servizi informatici ad un outsourcer; si è preferito far ricorso ad un outsourcer per i servizi di back-office o per la logistica. Alcune banche medio-piccole si sono affidate a Società di categoria, come CEDACRI, nato come fornitore di alcune Casse di Risparmio, e poi evoluto come grande Gruppo di outsourcing. Ma, tutte le volte che una banca ha deciso di esternalizzare l’IT, ha preferito farlo costituendo Società possedute al 100%, magari usufruendo di benefici fiscali, come nel caso, ora superato, del recupero dell’IVA per fatturazioni infragruppo.

Tutt’altro discorso per gli aspetti tecnologici, dove i sistemi informatici hanno seguito, grazie anche all’attenta collaborazione con i fornitori di ICT, tutta l’evoluzione di questi anni: dal mainframe al mobile, dalle applicazioni legacy alle APP, dai database proprietari al cloud.

Oggi le banche sono poco più di 600 (fonte ABI): le prime 10 valgono, in termini di capitalizzazione e di presenza sul territorio, più della metà di tutte le banche nel loro insieme, mentre le BCC, oggetto della prossima riforma sono quasi 400.

Questo ci dice che il sistema bancario italiano è fatto di banche ancora piccole e probabilmente ritornerà una stagione di grandi acquisizioni e fusioni per creare degli Istituti che, benché diversi dalle banche d’affari o dalle banche retail americane o inglesi (il modello italiano è quello di banca “wholesale”, quella che fa un po’ di tutto), abbiano la solidità necessaria e la capacità di competere a livello globale.

Gli accordi di Basilea vertevano molto sulla necessità di una forte patrimonializzazione delle banche, ed in effetti la quasi totalità delle banche italiane risponde a questo requisito. Ma allora perché c’è chi da una parte sostiene che il sistema è in pericolo, tesi avvalorata dalla necessità di salvare Banca Etruria e soci, mentre dall’altra c’è chi continua a ripetere che il sistema è solido e non ci saranno altre criticità?

E come i Sistemi Informatici possono giocare un ruolo importante, a volte decisivo, nel superare queste criticità?

A questi interrogativi cercheremo di dare risposta in un prossimo articolo, dopo aver sinteticamente analizzato i principali problemi delle banche italiane.