L’ACQUISTO DI EMC DA PARTE DI DELL: è DI NUOVO TEMPO DI MEGA-MERGER?
L’acquisto di EMC da parte di DELL: è di nuovo tempo di mega-merger?

Franco ViglianoA cura di Franco Vigliano, Associate Consultant, The Innovation Group

E’ di questi giorni la conferma delle voci che per mesi si sono succedute nel mercato mondiale dell’IT: DELL si comprerà EMC, con un’operazione commerciale da 67 miliardi di dollari.

Ne danno l’annuncio congiunto le due Società con un comunicato del 12 ottobre 2015, in cui si evidenziano tre punti fondamentali:

  • L’operazione servirà a fondere due aziende leader nel campo della digital transformation, dei software-defined data center, della hybrid cloud, della converged infrastructure, del mobile e della security.
  • Il prezzo di acquisto sarà intorno ai 33,15 dollari per azione.
  • VMware (Società gioiello di famiglia di EMC, che ne possiede l’80%) rimarrà indipendente e continuerà ad essere quotata in borsa, a differenza di EMC stessa, che diventerà una Private Company come DELL.

Quello che, secondo Forbes, è la più costosa acquisizione privata e la più grande fusione della storia dell’IT, creerà una Società in grado di competere con tutti gli altri big del settore: Apple, HP, IBM, Lenovo, Oracle (in stretto ordine alfabetico), senza contare le altrettanto grandi Internet Company del calibro di Google e soci.

Ma il mercato IT si chiede: è ancora tempo di mega-merger, come quelli che ci sono stati tra HP e COMPAQ, tra HP ed EDS, tra ORACLE e SUN MICROSYSTEMS? O, ancora, la fusione tra DELL ed EMC non sarà forse il “canarino nella miniera”, ossia il preavviso di una serie di futuri mega-merger, come sostiene la statunitense TechCrunch, sottolineando l’interesse che Oracle sta dimostrando nei confronti di HP Enterprise?

Il giudizio sulla fusione da parte degli analisti è controverso, fatte salve le dovute cautele sul fatto che l’acquisto di EMC da parte di DELL vada ancora perfezionato e concluso.

Gli analisti finanziari, a partire da Standard&Poor, Forbes, Wells Fargo, si schierano praticamente tutti tra coloro che danno un giudizio positivo dell’operazione. Essi parlano di una fusione “che, dal punto di vista finanziario e del portafoglio prodotti, porta alla nascita di una azienda altamente competitiva e con una vasta gamma di servizi offerti”; e “che farà nascere un nuovo gigante nel mondo hi-tech, indipendente dalle pressioni degli investitori, al contrario di HP che oggi si sta dividendo”.

Gli analisti IT, viceversa, rimarcano l’alterno successo delle fusioni precedenti a questa, e ricordano che “molte, se non la maggior parte, delle fusioni in realtà distruggono valore; a maggior ragione se riguardano due aziende che hanno avuto difficoltà a rinnovarsi e rilanciare se stesse. Fusioni come queste sono quindi estremamente rischiose. EMC e Dell sono in segmenti complementari del settore informatico e se tutto va bene il valore delle due aziende insieme potrebbero essere maggiore della somma delle due Società prese singolarmente. Ma questo è un grande se”.

Non a caso Venky Ganesan, Managing Director di Menlo Ventures, Società californiana di Venture Capital, parla di una transazione con vincitori e vinti, ed elenca nella prima categoria gli investitori, i banchieri, gli avvocati ed i commercialisti; mentre tra i perdenti mette l’innovazione, gli impiegati e … la città di Boston, culla delle Società EMC e VMWare.

In controcanto, Larry Ellison, CEO di Oracle, è entusiasta della fusione, come riporta il sito Business Insider UK. “E’ stato geniale. I miei amici Jim Davidson (Managing Partner della Società di Private Equity Silver Lake, co-finanziatore di DELL nella fusione) e Michael Dell hanno fatto un lavoro spettacolare nell’ingegnerizzare il deal EMC. Stanno per fare un sacco di soldi, miliardi di dollari”.
Un ultimo dubbio: DELL abbandonerà, come prefigura la rivista WIRED, il mercato dei Personal Computer? E’ una operazione che potrebbe portare nelle casse di DELL denaro fresco, dopo il deal da 67 miliardi di dollari. Ma forse questo è solo l’ultimo dei problemi di Michael Dell.

 

Lombardia Informatica sotto attacco

Tornando ai fatti di casa nostra ci sono da rimarcare due notizie contrastanti che riguardano una vicenda dai risvolti poco chiari: la possibile violazione della privacy di dati personali dei cittadini, anche minori, dovuta ad un “bug” nel software dell’applicazione MUTA (Modello Unico per la Trasmissione degli Atti) sviluppata da Lombardia Informatica per conto della Regione Lombardia.

La notizia di quello che, se si dovesse dimostrare vero, è uno dei più gravi rischi di violazione di dati che ci riguarda da vicino, è stata data ad inizio Novembre dal Corriere della Sera in una serie di articoli: in pratica, a fronte dell’interrogazione di un codice fiscale valido sarebbe stato possibile conoscere nome, cognome, indirizzo e perfino il telefono cellulare della persona legata a quel codice, senza ulteriori richieste di sicurezza. Si accennava poi al fatto che la “patch” messa a punto per risolvere il problema, era anch’essa aggirabile. In realtà non si sarebbe trattato di un data breach frutto dell’attività criminale di qualche perfido hacker, ma dell’incompetenza di qualche progettista software nel mettere a punto la piattaforma del MUTA: certamente un signore che ha preso molto sul serio le raccomandazioni sulla privacy della Comunità Europea, che parlano di sicurezza che le applicazione devono garantire “by design” (fin dalla progettazione iniziale) e “by default” (il dato deve essere comunque protetto).

Ma la seconda nota, forse ancora più inquietante, è la risposta da parte di Lombardia Informatica, riportata sul sito di Regione Lombardia. In quella nota non si fa cenno ai problemi riscontrati dalla giornalista del Corriere della Sera, ma si sottolinea solamente l’utilità, mai messa in dubbio, dell’applicazione in questione; la presenza di un misterioso “anomalo accesso al servizio da parte di alcuni indirizzi internet” ed infine, con un’ammissione che la dice lunga su quanto potrebbe essere realmente successo, di una “ulteriore vulnerabilità nota a un numero limitato di operatori, successivamente risolta”. La nota termina, come ovvio, con la minaccia di attivare eventuali azioni penali a tutela della Società.

Verrebbe da dire che se la pezza, messa a punto per cercare di risolvere il buco informatico, era peggiore del problema stesso, la smentita è quasi più preoccupante della notizia stessa, vera o presunta, perché fa pensare senz’altro ad una “scusa non richiesta”, e denota l’affanno che le Società trovano nel difendere la propria reputazione messa a rischio da attacchi informatici esterni o, purtroppo a volte, interni – senza con ciò tirare in ballo la strausata categoria del “complotto” (politico, sindacale, aziendale, ecc.).