Per l’industria automotive europea il 2035 dovrebbe essere l’anno dell’addio alla vendita di auto nuove con motori benzina, diesel e ibride. Il 29 giugno scorso il Consiglio dei ministri dell’Ambiente dei Paesi UE ha infatti trovato l’accordo su un pacchetto di misure (“Fit for 55”), nato da una proposta del 2021 della Commissione UE. Saranno ridotte ulteriormente le emissioni di CO2 di nuove autovetture e nuovi furgoni, rispettivamente di almeno il 55% e il 50% entro il 2030 (rispetto ai livelli del 1990), con l’obiettivo di raggiungere la neutralità climatica nel 2050.
Tra le misure del pacchetto “Pronti per il 55%”, oltre alle revisioni al mercato ETS (Emissions trading System), il sistema di scambio di “diritti ad inquinare” introdotto nel 2005, quella, molto dibattuta tra i diversi Paesi membri, sullo stop alla vendita delle auto endotermiche dal 2035. L’Italia, ad esempio, ha spinto molto sulla neutralità tecnologica e quindi sulla possibilità di “allungare la vita” ai motori endotermici (si puntava fino al 2040). Non è passato, ma almeno si è arrivati con la Germania a un compromesso, la possibilità di immatricolare dal 2035 ancora modelli endotermici a patto che utilizzino solamente biocarburanti o e-fuel. Un’apertura quindi a tecnologie alternative all’elettrico, e una spinta a continuare ad innovare su questi temi.
È stato deciso anche un momento di controllo intermedio, nel 2026, quando la Commissione Europea valuterà i progressi compiuti verso il raggiungimento degli obiettivi di riduzione delle emissioni del 100%. Potranno quindi essere riesaminati gli obiettivi tenendo conto di eventuali nuovi sviluppi tecnologici, perché la transizione sia anche gestibile da un punto di vista economico e sociale. Nel caso, un ricorso più prolungato all’ibrido potrebbe aiutare nella fase di passaggio.
Veicoli di lusso e produttori di nicchia (con meno di 10mila vetture prodotte all’anno) avranno una proroga di cinque anni, quindi riduzione delle emissioni di almeno il 55% entro il 2035. I testi definitivi dell’accordo dipenderanno poi dai prossimi lavori del Parlamento.
Per il settore automotive si apre quindi oggi una fase di profonda trasformazione industriale, economica, di filiera, che andrà monitorata costantemente per verificare nel Paese se l’adeguamento avviene nei modi e con i risultati migliori per la competitività del settore. Ad esempio, c’è un tema occupazionale che non va trascurato: in Italia il settore dà lavoro a 570mila lavoratori contando l’intera filiera automotive, a oltre 1.270mila persone se si considera anche l’indotto. Secondo una recente stima dell’Anfia, l’associazione della filiera automotive italiana, ci sarebbero almeno 450 imprese a rischio (sulle 2.198 che compongono la platea della filiera automotive in Italia), pari a 70mila addetti, perché specializzate in componentistica per auto con combustione interna, quindi destinate a sparire. Se nel medio periodo, molte di queste aziende continueranno a lavorare nell’aftermarket (per assicurare i ricambi anche dopo il 2035, visto che le case auto assicurano la reperibilità dei pezzi fino a dieci anni) presto cominceranno comunque a subire impatti negativi. Infatti, secondo Anfia, già tra qualche anno le grandi case automobilistiche fermeranno o rallenteranno la produzione di auto diesel e benzina: per questi fornitori già il 2024 potrebbe essere l’anno in cui ripensarsi per il futuro.
Oggi, nel mondo automotive, servono investimenti, nuove competenze, innovazione, per favorire il consolidamento di nuove linee produttive sostitutive di quelle dei motori tradizionali. Se l’Europa vuole effettivamente guidare la trasformazione verso una mobilità sostenibile e a impatto zero sull’ambiente, è chiaro che servirà un notevole sforzo e la capacità di guardare al futuro. Una nuova legislazione in materia è uno stimolo positivo, può anche aiutare all’industria automotive italiana a rimettersi in gioco, a recuperare alcune posizioni perse negli ultimi decenni. Saranno fondamentali quindi gli investimenti in ricerca, per sostenere le aziende che puntano a innovare, e la capacità di trasferimento tecnologico. Ecosistemi, competenze, filiere produttive subiranno un forte scossone nei prossimi anni: è importante cominciare da subito a investire su un gioco di squadra, riconoscendo da subito alle aziende Capo filiera un ruolo forte di trazione.
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